Cent’anni fa nasceva il Partito Comunista

Cent’anni fa nasceva il Partito Comunista

21 Gennaio 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

“Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa” diceva Giorgio Gaber. Cent’anni fa nasceva quello che sarebbe diventato il Partito Comunista Italiano.

Era il finire degli anni Venti del Novecento. L’Italia vive le tribolazioni del dopoguerra. Si sono inoltre espansi gli effetti della Rivoluzione d’ottobre. Nel settembre 1919, gruppi armati irregolari e reparti dell’esercito ammutinatisi, guidati da Gabriele D’Annunzio, avevano occupato militarmente la città di Fiume nel tentativo di mettere la Conferenza di Parigi di fronte all’accaduto. Il tentativo non andò a buon fine e la situazione venne risolta da Giolitti alla fine del 1920, quando come capo del governo mandò l’esercito a disoccupare Fiume nel rispetto del trattato di Rapallo. L’avventura fiumana tuttavia rese evidente la debolezza del governo, delegittimando assieme alla vecchia classe dirigente tutta la democrazia liberale e lo stesso parlamento. Le elezioni amministrative del novembre 1920 fotografarono una situazione di stallo. Il Psi ottenne infatti una buona affermazione ma non riuscì a conquistare nessuna grande città, salvo Bologna e Milano: segno evidente che la spinta del movimento operaio, non avendo trovato sbocchi, si stava ormai esaurendo. Mentre anche i popolari confermarono la loro forza, i liberali e i conservatori delle varie tendenze – unitisi contro i socialisti nei cosiddetti “blocchi nazionali” – dettero viceversa un primo segnale di ripresa. È in questo delicato periodo che, nel biennio 1920-21, ci fu la conversione fascista da interventismo di sinistra in interventismo squadrista di destra contro i socialisti. Il loro primo programma riprendeva alcuni punti della tradizione democratica e socialista, come la richiesta di un’assemblea costituente e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. La vocazione reazionaria del fascismo fu tuttavia chiarita sin dall’inizio dal sostanziale allineamento di Mussolini al nazionalismo e le sue prime manifestazioni pubbliche (come l’incendio della tipografia dell’”Avanti!” nell’aprile 1919). Già nel 1919 Benito Mussolini aveva fondato a Milano il movimento dei ‘Fasci di combattimento’, che quell’anno non prese voti alle elezioni dell’autunno ma, finanziato dagli agrari prima e dagli industriali poi, si organizzò in ‘squadre’ paramilitari, composte da militanti proveniente da diverse parti della nazione, per radere al suolo e bruciare sedi del Partito Socialista, Case del Popolo, Cooperative, picchiare e pestare brutalmente gli oppositori politici.

Contemporaneamente, di fronte al dilagare della reazione armata squadrista, esplosero le profonde divisioni di un movimento operaio ormai in ritirata. Al Teatro Carlo Goldoni di Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921 si teneva il diciassettesimo congresso del Partito Socialista Italiano. La frazione comunista, guidata dal gruppo torinese Ordine Nuovo (composto da giovani intellettuali di grande valore come Antonio Gramsci, Paimiro Togliatti e Umberto Terracini), che negli anni precedenti aveva sviluppato un’originale elaborazione teorico-politica individuando nei consigli di fabbrica gli strumenti per rinnovare il movimento operaio e al tempo stesso le prime cellule di una nuova società socialista, insieme ai seguaci dell’ingegnere napoletano Amedeo Bordiga, abbandona i lavori e si riunisce al teatro San Marco: il 21 gennaio nasce il Partito comunista d’Italia, sezione italiana della III Internazionale. Il segretario eletto è proprio Bordiga. La denominazione verrà mantenuta fino al giugno 1943, quando verrà modificata in Partito comunista italiano. Come in altri paesi, il partito comunista rimase però minoritario. Alle prime elezioni, nel ’21 (i cui votanti furono furono 6.701.496, cioè il 58,4 degli aventi diritto), 291.952 elettori scelsero la nuova formazione politica, che ottenne così 15 seggi. A sancire il fallimento del partito socialista si aggiunsero poi altre due scissioni: nel 1922 vennero espulsi i riformisti che avevano come leader il vecchio Turati e nel 1923 un gruppo favorevole al Comintern, diretto da Serrati, che l’anno dopo si unì ai comunisti.

Iniziava così l’avventura di un partito che morirà settantenne, nel 1991, con la svolta della Bolognina. Tanti i personaggi di spicco che hanno fatto parte del percorso del partito. Da Gramsci a Pasolini, da Togliatti a Berlinguer. Un partito comunista insolito, spesso lontano dai plausi all’URSS. Nasceva così il PCI.

Di Francesco Mazzariello