Olocausto: settantasette anni fa la fine di un orrore

Olocausto: settantasette anni fa la fine di un orrore

27 Gennaio 2022 0 Di Alessandro Mazzaro

“Voi che vivete sicuri/ nelle vostre tiepide case,/ voi che trovate tornando a sera/ il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo/ che lavora nel fango/ che non conosce pace/ che lotta per mezzo pane/ che muore per un si o per un no”. È il celeberrimo incipit della poesia “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Chissà cosa penserebbe lo scrittore e chimico torinese se sapesse che oggi il 15,6% degli italiani crede che la Shoah non sia mai esistita (dati 2020 Eurispes Italia).

«Si moltiplicano i segnali d’allarme sulla perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia. Nella realtà italiana di oggi c’è un passato che sembra dimenticato. E il peso dell’oblio è qui forse più forte che altrove», scrive Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nel suo nuovo libro “Un tempo senza storia. La distruzione del passato”, edito da Einaudi.

L’Olocausto è un fenomeno di portata planetaria, che scuote l’Occidente (e il mondo intero) come niente prima. E in quanto tale è stato oggetto di numerose produzioni artistiche, dalla letteratura (“Se questo è un uomo”, “I sommersi e i salvati”, “L’amico ritrovato”, “La banalità del male”), ai dipinti (quelli di David Olère, Edith Birkin, “La crocifissione bianca” del 1938 del grande Marc Chagall, che profetizza l’orrore che avverrà negli anni successivi), al cinema (“La vita è bella”, “Il fotografo di Mauthausen”, “Il bambino col pigiama a righe”), e tanto altro ancora. Ma nonostante le varie testimonianze e ricostruzioni, i dati Eurispes segnalano una preoccupante tendenza al riduzionismo o addirittura negazionismo. Per esempio, secondo il rapporto 2020 del Pew Research Center, solo il 45% degli americani conosce approssimativamente la dimensione del fenomeno. Tracciamo a grandi linee il contesto storico e il calibro dell’accaduto.

Gli ebrei in Germania non erano moltissimi, ma erano aumentati col finire del primo conflitto mondiale con l’arrivo di profughi dalle grandi comunità chiuse e povere dell’Europa orientale. Si aggiungevano agli ebrei già presenti e ben integrati, ricchi, colti e potenti. Questi ultimi erano però, soprattutto, odiati dalla popolazione più fragile e incolta. Porzione di popolazione diventata area di consenso facile. Va da sé che, quando nel 1933 Adolf Hitler diviene cancelliere, emerge una ghettizzazione. Prima sociale, poiché fin da quello stesso anno agli ebrei vengono preclusi gli incarichi statali e nel ’35 nascono le le prime leggi antisemite. Poi fisicamente, nel ’39, con l’istituzione del primo ghetto a Piotrków Trybunalski, in Polonia, nell’ottobre del 1939 (vicende simili accaddero anche in Spagna, fra il finire del 1400 e i primi decenni del 1500, a opera di Ferdinando di Castiglia e Isabella di Aragona, sempre nei riguardi degli ebrei). Nel novembre ’38 un giovane ebreo ammazza un diplomatico tedesco; la risposta si estende a tutta la comunità ebraica, con la “notte dei cristalli”, in cui si stimano migliaia di arrestati, innumerevoli negozi saccheggiati e centinaia di sinagoghe distrutte. Si iniziava così a pensare all’eliminazione definitiva della comunità, si arriva alla “soluzione finale”. «Quattro settimane dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, il 17 luglio 1941, Hitler conferì al comandante delle SS, Heinrich Himmler, l’incarico di garantire la sicurezza nelle zone occupate dell’Unione Sovietica. Hitler diede a Himmler ampio margine di manovra, al fine di eliminare fisicamente qualunque minaccia portata al dominio totale tedesco. Due settimane dopo, il 31 luglio 1941, il leader nazista Hermann Goering autorizzò il generale delle SS Reinhard Heydrich ad iniziare i preparativi per la messa in atto della “completa soluzione del problema ebraico”», dice l’Enciclopedia dell’Olocausto. Le prime deportazioni però, si ebbero già nell’ottobre ’39. Nei lager non finirono più soltanto gli ebrei. Le deportazioni vennero estese anche agli omosessuali, colpevoli di essere deboli per combattere, di degenerare la razza e di essere inutili al suo sviluppo, non essendo in grado di procreare; gli venne imposto di portare sul braccio un triangolo rosa ricucito, a differenza degli ebrei che dovevano avere in vista la famosa stella di David (qui tutti i simboli). Si aggiunsero anche gli zingari (ancora più indifesi degli ebrei). Aggiungiamo poi gli oppositori politici, già dal ’37 vittime di deportazioni.

Era così nato un inferno sulla Terra. Questo non era un viaggio dantesco. Questo era il mondo reale.

Settantasei anni fa il campo di Auschwitz veniva liberato dall’ingresso dell’Armata Rossa. Settantasei anni fa si chiudeva una pagina nera della storia dell’umanità. Ma le oppressioni non sono certo terminate settantasei anni fa. Nuove forme di sopraffazione sono emerse. Alcune sono rimaste identiche a quelle dei vari regimi totalitari novecenteschi. Come spesso facciamo, lanciamo un appello ai giovani, affinché riscoprano il rispetto della vita umana tramite la storia ed esperienze come l’Olocausto. Nella speranza che i prossimi dati siano più confortanti di quelli citati a inizio articolo.

Di Francesco Mazzariello