A Monica Vitti

A Monica Vitti

7 Febbraio 2022 0 Di Alessandro Mazzaro

Fin da quando ero bambina c’era una domanda ricorrente che facevo a mia madre quando parlavo di lei “mamma ma come si chiama quell’attrice bellissima, con la voce disperata, che nei film prende sempre un sacco di mazzate?” e la risposta arrivava immediata: Monica Vitti.

Forse la mia domanda era motivata dalla scena con Alberto sordi nel film “Amore mio aiutami” che mi è rimasta particolarmente impressa, o forse era che in tutti i suoi film Monica Vitti oscilla tra amore romantico a violenza in men che non si dica, ridendo nel pianto e rendendo tutto meno duro di quel che sembrava, regalando una dimensione quasi onirica allo spettatore.

Fatto sta che mia madre sapeva rispondermi subito perché effettivamente in molti dei suoi film il suo personaggio subiva schiaffi, spinte, calci ma tutta questa violenza si scontrava con la sua chioma folta e rossastra, con le sue labbra gentili e con il suo nasino delicato ricoperto di lentiggini. Incarnava l’idea di una bellezza francese, aristocratica ma quando parlava veniva fuori tutta l’aria romanaccia e scanzonata che la abitava.

Con gli occhi sempre lucidi e indifesi riusciva a raccontare quell’Italia povera ma mai scoraggiata tipica del cinema neorealistico, riusciva ad unire la disperazione del dopo guerra a quell’ironia intelligente e severa che faceva pensare: “tutto sommato questa vita ci piace”. Una donna che sprigionava fascino e forza nonostante i suoi personaggi raccontassero un universo femminile difficile. Ha sempre saputo descrivere ogni sfumatura che appartiene all’essere donna alternando la sensualità passionale alla gentilezza materna, la brutalità dei gesti alla tenerezza delle parole.
Ha sempre recitato accanto ad attori di fama internazionale senza dover sgomitare per sottolineare la sua identità perché le veniva facile dimostrarsi per quello che era: una donna senza filtri e senza orpelli che si metteva a nudo senza preoccuparsi troppo di dover “recitare”. In fondo non faceva altro che portare in scena quello che aveva vissuto e che custodiva dentro. Lei e la sua famiglia hanno vissuto i bombardamenti e la paura che solo chi vive la guerra conosce. Ha trascorso i suoi primi anni in Sicilia per poi trasferirsi a Napoli nonostante le sue origini fossero romane e sono proprio quei luoghi le hanno permesso di raccontare le brutture e le bellezze che solo il popolo vero sa offrire.
Nonostante la mia domanda fosse sempre la stessa, nella mia mente non l’ho mai individuata come vittima o come arresa alla vita, anzi, la cosa che mi colpiva di lei era che in quella famosa scena con Sordi non piangeva. Urlava, si disperava, si dimenava ma non versava una lacrima e questo mi ha sempre fatto pensare a quanto si possa essere ostinati e resistenti davanti alle situazioni più brutali. Una donna che non ha mai nascosto la paura di soffrire, di amare, di scegliere ma che anzi ha fatto sì che questa paura convivesse con lei, tanto da trasformare una lacrima in una risata, anche se amara o disperata. Con la sua voce scalfita e cantilenante mi ha sempre dato l’idea di resistenza e credo proprio che ci mancherà quella sua fragile, incessante, ostinata resistenza.

 

Maria Carmela Mandolfino