100 anni del Pci: ricordi e contraddizioni di una storia italiana

100 anni del Pci: ricordi e contraddizioni di una storia italiana

21 Gennaio 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Ripercorrere i 100 anni di storia del Partito Comunista Italiano, le cui origini sono state lucidamente ricostruite dal nostro Francesco Mazzariello su questo magazine, significa sfogliare un album denso di ricordi e contraddizioni che fa parte, a pieno titolo, della Storia con la S maiuscola del nostro Paese.

La necessità di celebrare il centenario di un partito che non esiste più significa mantenere viva nella memoria quell’esperienza, che è stata palestra di politica per moltissime generazioni e che è riuscita ad inserirsi nel gioco della democrazia pur partendo da una concezione teorica diversa sul modo di gestire lo Stato e la cosa pubblica.

La particolarità del più grande partito comunista dell’occidente è stata tutta lì, in quel modo di adeguare il suo percorso alla situazione del Paese senza perdere di vista l’aspetto “sociale” della sua visione nella consapevolezza che la rinascita dell’Italia dopo il ventennio fascista richiedesse responsabilità e senso dello Stato.

Un atteggiamento che, nonostante le contraddizioni legate al rapporto costante con il Pcus (testimoniata dalle incertezze su quanto avvenuto in Ungheria nel 1956), è rimasto intatto anche negli anni della grande contrapposizione Dc-Pci, in cui quest’ultimo ha assolto ad un ruolo che si potrebbe definire pedagogico rispetto ad una popolazione che andava “iniziata” alla cittadinanza attiva.

Pur non avendo mai governato, se non a livello locale, il Partito Comunista Italiano ha rappresentato per milioni di persone il punto di riferimento in senso partecipativo di quella politica che voleva rappresentare anche il sogno di una società migliore e più equa.

Allo stesso tempo, quella “scuola di cittadinanza”, così lucidamente definita dallo storico Miguel Gotor, è stata caratterizzata da una tendenza alla autocritica capace di generare scissioni, dibattiti interni e fughe verso l’eversione (gli anni Settanta) che hanno esposto il Pci al vento impetuoso della Storia più di altri soggetti politici contemporanei.

La voglia di rimarcare la propria identità e l’incapacità di immaginare un futuro politico nell’ambito della socialdemocrazia, che era diventato il tratto distintivo della sinistra degli anni Ottanta, ha contribuito ad allontanare dal presente il Partito Comunista Italiano, che pure aveva saputo affrancarsi dal comunismo in senso sovietico, e ad isolarlo dal contesto sociale in cui stavano avvenendo i maggiori cambiamenti.

Uno splendido isolamento che, consociativismo a parte, ha reso il Pci ideologicamente alternativo all’Italia dell’edonismo degli anni Ottanta che ha aperto le porte alla stagione della Seconda Repubblica e ad una politica diversa e meno inquadrabile negli schemi pre-guerra fredda.

Il sipario calato dopo la caduta del Muro ed il cambio del nome in Partito Democratico della Sinistra ha chiuso una storia per cominciarne un’altra.

A noi spetta il compito di confrontarle e valutarne la complessità.

 

Alessandro Mazzaro