Svimez: 45mila lavoratori del sud in smart working per il centro-nord

Svimez: 45mila lavoratori del sud in smart working per il centro-nord

17 Novembre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Martedì 24 novembre verrà presentato il Rapporto Svimez 2020 sul south working. Secondo i dati raccolti sono quarantacinquemila gli addetti che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord (questo il significato di “south working”). Una cifra che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali. Si ricorda nello studio che attualmente sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro- Nord. Dall’indagine emerge altresì che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l’80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking.

La maggior parte delle aziende intervistate, in base all’indagine Datamining, ritiene che i vantaggi principali del southworking siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimento da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatica. La SVIMEZ, con l’avvio di un Osservatorio sul south-working intende “avviare un pacchetto di misure a sostegno del southworking potrebbe favorire la riattivazione di quelle precondizioni dello sviluppo da troppi anni abbandonate”, come commenta Luca Bianchi, Direttore Svimez. Questo pacchetto avrebbe come elementi: incentivi di tipo fiscale e contributivo; creazione di spazi di co-working;  investimenti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari); infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche.