Quel giorno che la terra tremò: voci dal cratere

Quel giorno che la terra tremò: voci dal cratere

17 Novembre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Comincia con questo racconto “Quel giorno che la terrà tremo”, storia in sei puntate del terremoto del 1980 raccontata dai testimoni dell’epoca.

Racconti che, pur essendo stati scritti dieci anni fa, mantengono intatto il loro impatto emotivo e la forza evocativa di quello che si può considerare un evento spartiacque nella storia del Sud Italia
A volte la vita si spacca in due, tanto da arrivare in futuro a dividerla tra un “prima” e un “dopo”. Tanto da arrivare a dimenticare migliaia di giorni ma non quello.

Quella crepa la trovi sempre nel ricordo della vita, anche se sei ormai lontano da quei luoghi e da quelle case. L’hai evidenziata su un calendario che non cambi mai. L’hai raccontata per trent’anni e non si è mai offuscata.

Quel giorno che la terra tremò come mai prima la tua memoria ricordasse era un giorno che non passa come gli altri. Era domenica, era novembre, e l’estate si era allungata fino a toccarti, fino a farti sembrare strano di averla ancora lì.

In fondo, le maniche corte e le passeggiate vicino al mare dalle nostre parti fanno parte del panorama. Sono costume del modo di vivere nostrano.

Eppure quel giorno lo ricorderai lontano. Ti ci soffermerai ogni qual volta sentirai quel caldo fuori stagione.

Come un presagio di cattive nuove.

IL VOLONTARIO DI MATERA. Laviano, Castelnuovo di Conza, Lioni, Teora, Sant’Angelo dei Lombardi, Calabritto, Santomenna e tanti altri comuni di cui molti non conoscevano neanche l’esistenza divennero il simbolo del dolore, lo specchio in cui guardarsi per comprendere la precarietà dell’esistenza e delle cose.

«Da Sant’Andrea a Conza c’erano pochi chilometri, e presto ci trovammo di fronte ad uno scenario che non avrei mai voluto vedere in tutta la mia vita; un paese completamente raso al suolo, da sotto i cumuli di pietra si estraevano solo cadaveri maciullati, a Conza alla fine si contarono oltre 600 morti su una popolazione di neanche 800 persone, io ero riuscito a mettere in funzione un vecchio gruppo elettrogeno con il quale riuscii a dare corrente ai locali di una scuola dove allestimmo una base per i primi soccorsi e il vettovagliamento» ricorda Antonio Ditaranto di Montescaglioso(Mt), volontario dell’epoca e fervente comunista, che ha raccontato la sua esperienza: «A Conza eravamo rimasti solo io ed un altro ragazzo di Montescaglioso, e, ironia della sorte, era un attivista di un gruppo fascista di estrema destra con il quale in passato mi ero picchiato decine di volte. Io solo lì con un fascista e la sua macchina, dovevo evitarlo o accettare la situazione e quindi stringergli la mano mio malgrado e lavorare fianco a fianco? Credo che le stesse cose siano passate nella mente di quel ragazzo, alla fine ci guardammo negli occhi e ci dicemmo: ciao, io sono Tonino, ciao io sono Emanuele, e ci stringemmo la mano, anche se già sapevamo molto bene come ci chiamavamo. Passò tutto in un attimo, alle spalle avevamo il nostro passato, di fronte il futuro, un futuro che in quel momento aveva l’odore della morte, la morte di quanti giacevano di fronte a noi in quelle misere casse di legno, di quanti ancora restavano sotto quelle macerie e che ci sarebbero rimasti per sempre, sotto una colata di calcestruzzo, non più nemici pieni di odio e rancore, ma amici di una amicizia che sarebbe durata in eterno perché nasceva dalla voglia di entrambi di essere in qualche modo di aiuto a quelle persone che in un istante avevano perduto tutto».

Antonio è un fiume in piena, racconta le cose dei giorni più difficili: «Assistemmo a fatti davvero sconcertanti, fummo testimoni di atti di sciacallaggio inimmaginabili, sindaci e personaggi che avrebbe dovuto essere i protagonisti in positivo degli aiuti, che invece imboscavano i rifornimenti alimentari e vestiari nei propri garage, plotoni dell’esercito che arrivati per soccorrere si erano portati dietro fucili e baionette invece che vanghe e attrezzature da lavoro; i veri aiuti venivano invece da gruppi di volontari arrivati da tutta Italia e che si prodigavano per assicurare a quelle povere genti conforto e pasti caldi».

Ma c’è spazio anche per una bella storia, accaduta a Sant’Angelo dei Lombardi: «Dalle macerie di Sant’Angelo dei Lombardi fu tirata fuori una bambina di undici anni, miracolosamente ancora in vita. Emanuele con il baracchino installato sulla propria macchina riuscì a chiamare un elicottero di soccorso che in pochi minuti trasportò la bimba in ospedale; finalmente, dopo giorni e giorni di angoscia e disperazione, un episodio che ci dava un po’ di gioia e che ci spronava ancora di più ad aiutare quelle genti consapevoli che ognuno di noi era importante in quella lotta contro il tempo e contro l’inverno che ormai si era abbattuto implacabile su quelle terre sciagurate».
(1.Continua)

di Alessandro Mazzaro