Quarantadue anni fa Pertini giurò come Presidente della Repubblica

Quarantadue anni fa Pertini giurò come Presidente della Repubblica

9 Luglio 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

«Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente e un partigiano come presidente» cantava qualcuno. Ebbene, quarantadue anni fa, il 9 luglio 1978, quel partigiano prestò giuramento come settimo Presidente della Repubblica.
Eletto con 832 voti su 995, Sandro Pertini (San Giovanni di Stella, 25 settembre 1896 – Roma, 24 febbraio 1990) è stato uno dei più noti volti della cosiddetta Prima Repubblica. «Si è arrivati a scegliere Pertini perché si sentiva il bisogno innanzitutto di rinvigorire le fonti di questa Repubblica. La Repubblica viene da una lotta per la libertà contro la dittatura» dirà il futuro nono Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Ma prima della nomina, Alessandro Giuseppe Antonio Pertini aveva già vissuto cento vite in una.
Venne chiamato alle armi a metà del 1916. Nell’estate del 1917 , poco più che ventenne, il sottotenente dei mitraglieri “Fiat” Pertini raggiunse il 227° Rgt Fanteria sul fronte isontino. Il capo di Stato maggiore italiano, Luigi Cadorna, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe sull’Isonzo: 600 battaglioni (52 divisioni) con 5.200 pezzi d’artiglieria. L’attacco venne sferrato su un fronte che si estendeva da Tolmino (nella valle superiore dell’Isonzo) fino alle coste dell’Adriatico. Ma fu sull’altipiano della Bainsizza che il combattimento divenne aspro e sanguinoso, fino a conquistare quel territorio e il Monte Santo. «Ho vissuto la vita orrenda della trincea fra il fango, fra i pidocchi. Sparavamo agli austriaci, che erano giovani soldati, giovani ufficiali come noi», riassumerà lo stesso Pertini.

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Nel 1926, con il varo delle leggi fascistissime Sandro Pertini viene mandato al confino forzato ma fugge in Francia grazie anche all’aiuto di Adriano Olivetti. Torna in Italia nel 1929 per riorganizzare il partito Socialista e combattere il fascismo, ma viene condannato a dieci anni e nove mesi di reclusione per la sua attività antifascista in Francia. Va in carcere e le sue precarie condizioni di salute spingono la madre a chiedere la grazia. Sandro Pertini si dissocia, dichiarandosi convintamente pronto a morire per le sue idee. Uscirà definitivamente dal carcere nell’agosto del 1943, a seguito di tre anni di vigilanza speciale aggiuntisi alla pena iniziale. Si unisce ai partigiani per combattere nelle file della Resistenza. Arrestato dalle SS viene condannato a morte. Riesce a fuggire grazie all’intervento dei partigiani delle Brigate Matteotti. Insieme a Giuseppe Saragat (futuro quinto Presidente della Repubblica) viene poi arrestato di nuovo il 15 ottobre 1943, a Roma. Giuliano Vassalli, Peppino Gracceva e Massimo Severo Giannini riescono a falsificare l’atto di scarcerazione grazie a fogli e timbri del Tribunale conservati prima di lasciare il proprio lavoro, permettendogli di evadere. E poi tanto, tanto altro ancora.

Spesso le sue decisioni furono ferme, come quando, non ancora Presidente della Repubblica, sostenne con decisione la linea che rifiutava le trattative coi brigatisti sul caso Moro; o impopolari e discutibili, come la grazie concessa a Mario Toffanin, condannato all’ergastolo nel 1954 in quanto principale responsabile dell’eccidio di Porzûs.

Sandro Pertini ha però avuto anche un’aura da personaggio pop. Basti pensare all’esultanza al Bernabeu: «Non ci prendono più, non ci prendono più», disse quando “Spillo” Altobelli segnò il gol del 3-0 contro la Germania Ovest, durante la finale dei Mondiali di Spagna nel 1982 (finita 3-1), nella torrida sera dell’11 luglio. O alla partita a carte in aereo con Zoff, Causio e Bearzot, proprio durante il viaggio di ritorno dalla Spagna, con la Coppa del Mondo al centro del tavolo. E come già scritto: tanto, tanto altro ancora.


Forse ancora una volta, prescindendo dagli schieramenti politici, possiamo limitarci (si fa per dire), ognuno nel proprio profondo, a una riflessione (come quella posta quando abbiamo ricordato il decesso di Enrico Berlinguer) incentrata su un concetto chiave che oggi sembra sbiadire sempre più (data la volubilità dell’elettorato), con responsabilità condivise da rappresentanti e rappresentati: appartenenza.
Nel caos che domina imperante recentemente, può essere di conforto un monito ai giovani , ai quali lo stesso Pertini disse (nel primo discorso di fine anno, 1978) «ascoltatemi vi prego: non armate la vostra mano. Armate il vostro animo. Non armate la vostra mano, giovani, non ricorrete alla violenza, perché la violenza fa risorgere dal fondo dell’animo dell’uomo gli istinti primordiali, fa prevalere la bestia sull’uomo ed anche quando si usa in istato di legittima difesa essa lascia sempre l’amaro in bocca. No, giovani, armate invece il vostro animo di una fede vigorosa: sceglietela voi liberamente purché la vostra scelta, presupponga il principio di libertà, se non lo presuppone voi dovete respingerla, altrimenti vi mettereste su una strada senza ritorno, una strada al cui termine starebbe la vostra morale servitù: sareste dei servitori in ginocchio, mentre io vi esorto ad essere sempre degli uomini in piedi, padroni dei vostri sentimenti e dei vostri pensieri. Se non volete, che la vostra vita scorra monotona, grigia e vuota, fate che essa sia illuminata dalla luce di una grande e nobile idea». Prima o poi qualcuno si accorgerà anche di loro.

Di Francesco Mazzariello