Memorie della Resistenza: Storia e cultura a 75 anni dalla Liberazione
25 Aprile 2020Per comprendere l’impatto della tradizione resistenziale nella società italiana dal dopoguerra è utile mettere a confronto ricerche, film, saggi letterari, monumenti evidenziando l’interazione fra storia, cultura e uso pubblico della storia.
Ancora prima della fine della guerra, il Comitato di Liberazione Nazionale comprese come le modalità della guerra di liberazione avrebbero inciso sugli assetti dell’Italia post-bellica e per questo si adoperò affinchè il Sud adottasse un modello ispirato all’esperienza del Nord del paese, garantendo la supremazia dei CLN. La mancata valorizzazione dei CLN meridionali segnava l’esigenza da parte di Alleati e le classi dirigenti che avevano sostenuto il fascismo di comprimere e limitare il prima possibile gli effetti della Resistenza.
Appena finita la guerra, con la “guerra fredda” alle porte il PCI (il partito forse più legato alla Resistenza) si trovò a fare i conti con gli episodi di vendetta non “autorizzati” di propri militanti e reagì in vario modo. Dapprima negando che quegli atti fossero stati compiuti dai propri compagni, quindi mantenendo il silenzio sulla questione, e infine, organizzando una via di fuga in Jugoslavia e in seguito in Cecoslovacchia, dove alcuni ex partigiani avrebbero vissuto per anni in esilio. Una simile strategia servì in qualche modo a ridurre la tensione, ma non risolse il problema e creò soltanto l’impressione che il PCI avesse qualcosa da nascondere. Nel periodo immediatamente precedente le elezioni dell’Assemblea costituente, sembrò che la Resistenza per il PCI rappresentasse un problema politico. Anche in questo modo va intesa l’amnistia Togliatti: l’inclusione di un atto di clemenza nei confronti dei partigiani in un documento dedicato quasi interamente ai crimini nazisti. Ciò si determinò a causa dei diversi intenti che il PCI e la DC perseguivano con quel provvedimento. Mentre la DC puntava a un’estesa amnistia a favore dei fascisti, Togliatti utilizzò la questione dei partigiani come elemento di contraddizione e contrattazione.
L’IMMEDIATO DOPOGUERRA
Una costante della stampa partigiana nei primi anni dopo la Guerra è il rapporto tra Resistenza e nazione: i frequenti riferimenti alle glorie passate, e in primo luogo al Risorgimento, servivano a giustificare e a spiegare le aspirazioni della Resistenza considerata un «secondo Risorgimento».
Le prime opere memorialistiche venivano solitamente stampate da piccole case editrici, con tirature limitate, ed erano destinate ad un pubblico locale. Uno dei molti esempi in tal senso è il volume di Leo Valiani, Tutte le strade portano a Roma, che rappresenta la prima elaborata articolazione della tesi della «Resistenza tradita». Sempre nello stesso periodo inizia il confronto tra due posizioni che solo decenni dopo troveranno un terreno comune: inizialmente sono gli scritti di Cadorna a sostenere la causa delle forze armate professionali, mentre Luigi Longo, nel suo libro, metteva in rilievo il ruolo svolto dall’«esercito di popolo.».
Nel 1949 Calvino pubblicò una rassegna della letteratura della Resistenza dove parlò di opere come La casa in collina di Cesare Pavese e Uomini e no di Elio Vittorini. La stessa natura episodica della lotta sembra prestarsi alla narrazione breve, alcuni dei migliori esempi di letteratura resistenziale appartengono a questo genere. L’analisi di Calvino prese in esame anche le opere di poesia, rilevando che solo grazie alla figura di Alfonso Gatto, del quale alcuni componimenti circolarono clandestinamente durante la Resistenza, le lettere italiane potevano vantare qualcosa che potesse reggere il confronto con le straordinarie esperienze francesi di quegli anni.
Ma furono i film – e non i testi letterari, la memorialistica o gli scritti degli storici- a determinare la concezione, passata nella coscienza comune degli italiani di quegli anni, della Resistenza come movimento unitario, capace di coinvolgere la quasi totalità della popolazione. Giorni di gloria, che uscì nell’ottobre del 1945 (poche settimane dopo Roma città aperta) è il primo importante “documentario” sulla Resistenza risultato di una collaborazione tra Luchino Visconti, Marcello Pagliero, Giuseppe De Santis e Mario Seandrei. Altri noti film si concentrarono sul ruolo svolto dalla religione e la Chiesa cattolica: Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti e Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, entrambi del 1946 oltre che Roma città aperta di Rossellini.
Il decimo anniversario della Resistenza, riaprì le discussioni e portò gli stessi democristiani a una cauta riconsiderazione del movimento. Tuttavia continuarono i processi a carico dei partigiani, vicenda che non si riscontra in nessun’altra parte d’Europa, o almeno non in misura tale da essere minimamente comparabile con quanto avvenne in Italia.
Fu il Partito d’Azione, quasi nullo elettoralmente, ad essere rilevante nel discorso pubblico sulla Resistenza e nonostante esso si fosse sciolto nel 1947 i suoi principali esponenti, come Piero Calamandrei, Giorgio Agosti, Leo Valiani, Aldo Garosci, i fratelli Alessandro e Carlo Galante Garrone, per non nominarne che alcuni, formarono una sorta di comunità morale composta da intellettuali di grande livello, avente il suo centro essenzialmente in due città, Torino e Firenze. Il frutto del loro lavoro, per Calamandrei, portò alla sconfitta della legge “truffa”, visto che fu interpretato come una vittoria della Resistenza.
Anche nella letteratura si susseguono opere tese a reinterpretare il movimento di liberazione: più di qualsiasi altro testo, letterario e non, l’Agnese va a morire di Renata Viganò esemplifica l’interpretazione comunista degli anni ‘50 di una Resistenza tradita già durante la guerra, dai suoi alleati nella lotta contro i tedeschi e i fascisti.
I primi scritti resistenziali di Cassola, Viganò e Fenoglio compaiono frequentemente nei corso universitari di italianistica, ma quello che senza esagerazione può essere definito il vero e proprio «testo sacro» della Resistenza è un altro volume uscito nel 1952: le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, contenenti una raccolta degli scritti lasciati prima di essere giustiziati da partigiani, antifascisti e altri “resistenti”. Nel 1954 entrarono in campo le due figure chiave dell’organizzazione del PCI durante la Resistenza, Luigi Longo e Pietro Secchia, pubblicando rispettivamente Sulla via dell’insurrezione nazionale e I comunisti e l’insurrezione.
Per quanto riguarda il versante artistico, il pittore comunista Renato Guttuso con il suo dipinto La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio raffigurava una scena che a prima vista poteva sembrare una battaglia decisiva del Risorgimento, con Garibaldi a cavallo nella parte superiore della tela che mentre il resto del dipinto invece era dedicato ai comunisti (o meglio al gruppo dirigenti del PCI) impegnati nella Resistenza.
Negli anni ‘50, le politiche del ricordo istituzionali operarono una sorta di «romanizzazione» della memoria della Resistenza, concentrandosi sul massacro delle Fosse Ardeatine, che venne trasformato in utile simbolo del martirio dell’Italia intera. Solo alla fine del decennio, l’intera questione del contributo dei cattolici alla Resistenza era diventato un tema importante, dal quale la DC era pronta a trarre un certo capitale politico.
GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA
I fatti di Genova dell’estate del 1960, in cui l’ANPI, i sindacati e varie forze agirono insieme, come mai era successo prima, rappresentarono il segno di una nuova vitalità dell’antifascismo e dunque della memoria della Resistenza. I movimenti digli anni successivi furono uno spartiacque storico, in cui anche i racconti del passato trasmessi ai giovani dai loro genitori furono messi in discussione. Soprattutto, con l’ascesa del movimento studentesco a metà del decennio, vari modelli di Stato e di partito delineati nella Resistenza furono oggetto di incalzanti critiche, quando non di veri e propri attacchi.
La coincidenza fra il centenario dell’Unità e la riscoperta della Resistenza generò un rinnovato interesse per quest’ultima considerata sempre più come secondo Risorgimento, testimoniato dalle numerose pubblicazioni dell’epoca. Anche i comunisti furono meno timidi nell’usare la memoria resistenziale nel confronto politico immediato; tanto che nel 1963 il Pci scelse nella sua propaganda elettorale di presentare il voto a suo favore come «un voto di liberazione»
Gli anni ‘60 furono un periodo d’oro per le canzoni sulla Resistenza, alla cui popolarità dettero un importante contributo una serie di collaborazioni artistiche , come quella fra Straniero e Fausto Amodei, che crearono il gruppo Cantacronache. Le celebrazioni del ventennale rappresentarono quindi un evento nazionale coperto da una varietà di strumenti di comunicazione, con un’ampia varietà di generi e di stili celebrativi, dai discorsi in Parlamento e in piazza Duomo a Milano alla musica, tanto popolare che classica, coinvolgendo inoltre anche le scuole, con eventi che si svolsero in tutta la penisola. Ed è proprio sulla questione del posto della Resistenza nel sistema educativo che si videro gli effetti di tali processi. Nel decennio precedente, l’insegnamento della storia si era fermato alla Prima guerra mondiale, e nonostante in quel periodo vi fossero stati vari appelli per un cambiamento, non era successo niente di concreto. La Resistenza, quindi, semplicemente non faceva parte dei programmi scolastici. Uno dei primi segnali di un più ampio cambiamento di atteggiamento, dopo la vicenda Tambroni, fu la decisione presa nel 1960 da Giorgio Bosco, ministro dell’Istruzione del governo Fanfani, di estendere l’insegnamento della storia italiana oltre il 1918.
In tale contesto molta popolarità ebbero di libri di Bocca, Gorrieri visto che la loro particolarità consisteva nel mostrare come persone animate da credo politici diversi avessero potuto lavorare insieme a livello locale, spingendo i lettori a considerare come, all’inizio degli anni ‘70, analoghi compromessi e successi venissero realizzati a livello nazionale, con i governi di centrosinistra.
Le storie locali utilizzavano ampiamente le memorie individuali. Non sorprende che sempre negli anni ‘60 esse venissero ripubblicate in gran numero, come quelle di Battaglia, Chiodi, Lazagna, e Martini Mauri. Furono però pubblicate anche nuove testimonianze che dimostrano l’ampiezza delle esperienze resistenziali, come quella di Icilio Ronche della Rocca, che non aveva specifiche affiliazioni politiche. La più importante opera di questa nuova corrente memorialistica fu il diario del partigiano ebreo Emanuele Artom, che divenne una sorta di libro culto nella sua Torino, e in seguito avrebbe costituito per Claudio Pavone una fonte cruciale per il suo studio.
In un momento in cui la contrapposizione fra spontaneità e organizzazione era oggetto di vivaci discussioni all’interno del PCI, l’analisi che Secchia presentava delle “Quattro giornate” di resistenza napoletane sollecitava la sensibilità dei giovani “spontanei” manifestanti del 1960 e del 1962. La prima, sia pur marginale e isolata, risposta degli ambienti neofascisti fu, nel 1960, quella dell’Associazione nazionale dei caduti e dispersi della RSI che pubblicò le Lettere di caduti della Repubblica Sociale Italiana e di Pisanò con il Sangue chiama sangue e Storia della guerra civile. Nei primi anni ‘60 il vero boom fu quello dei film sulla guerra e la Resistenza, fra i quali La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini (1960) e la versione del romanzo di Cassola, La ragazza di bube. Ma i due film più interessanti del periodo furono Una vita difficile (1961) di Dino Risi e Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy.
Gli anni ’60 furono caratterizzati anche dall’ideazione dei primi monumenti come quelli di Udine e Cuneo, dove al pari di tutti gli altri segmenti della memoria pubblica, la progettazione prima e la realizzazione poi furono caratterizzate da polemiche e scontri non solo tra i tecnici.
Quando il 27 aprile 1966 uno studente di architettura della Sapienza venne ucciso da neofascisti, i risvolti nello spazio pubblico non si fecero attendere. Nel discorso che Parri fece agli studenti per la commemorazione chiese le dimissioni del rettore affermando: « La Resistenza continua con voi» così dicendo, investì di fatto il nascente movimento studentesco del compito storico di completare quanto i partigiani azionisti non erano stati in grado di raggiungere.
Con la pubblicazione di testi che ebbero una vasta influenza, come Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria, si consolidava il liet motive del tradimento della Resistenza, a quel modello unitario sarebbe ben presto contrapposto il paradigma della “Resistenza rossa” che fornì agli ultimi anni 60 e al decennio successivo un nuovo slogan.
Negli anni ’70, altre canzoni della resistenza conobbero momenti di enorme popolarità. Esemplare in tal senso fu la vicenda dell’album Il vento fischia ancora del Duo di Piadena, uscito nel 1972, come pure di Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei e Contessa di Paolo Pietrangeli. In questo periodo si registrò anche un’intensa produzione editoriale, nella quale si segnala un’iniziativa del 1971 degli Editori Riuniti, che raccolsero in un cofanetto antifascismo e Resistenza 8 volumi che sono veri e propri classici del genere, a chiara testimonianza del notevole fervore di quegli anni.
L’aspetto più controverso di tutta la vicenda della memoria post-resistenziale riguarda il suo collegamento con il terrorismo di sinistra. Molte le organizzazioni terroristiche che utilizzavano il termine «brigata» o lo ripetono come GAP, anche se le strategie non coincisero : i Gap erano più orientati a una strategia di difesa mentre le BR alla rivoluzione. Tra le meno note compaiano il Movimento proletario della Resistenza e altre con i nomi di eroi della Resistenza: la Brigata proletaria Erminio Ferretto, che operò a Mestre e dintorni dal 1972 al 1974, e la Brigata d’assalto Dante Di Nanni, attiva in Toscana dal 1976 al 1979. Il movimento Resistenza Continua e il suo noto periodico vennero fondati nel 1974 a Milano da varie formazioni extraparlamentari di sinistra. In molte biografie di terroristi, da Curcio a Franceschini, esplicito è il riferimento a una “nuova” resistenza e alla contestazione alle modalità della sua trasmissione.
DA PERTINI A CRAXI
Nel 1978 con l’elezione alla presidenza della Repubblica di Pertini la Resistenza conseguì il massimo riconoscimento: la sua figura impersonò la memoria socialista della Resistenza, e fu uno dei principali testimoni del messaggio resistenziale nel suo complesso.
Due anni dopo, con la strage di Bologna il legame fra i due periodi venne reso ancor più esplicito dalla scelta di collocare il memoriale delle vittime nella piazza centrale della città, vicino alle fotografie dei partigiani bolognesi morti fra il 1943 e il 1945.
Più o meno negli stessi anni un altro socialista, Bettino Craxi segretario nazionale dal 1977, non solo si liberava di gran parte della tradizione del PSI, ma mandava anche un chiaro messaggio, sottolineando come i valori di quelle persone rappresentavano, e in particolare l’antifascismo e la Resistenza, non trovavano posto in quello che secondo la sua concezione doveva essere il moderno PSI. Il tutto si evidenziò su Marzabotto che, grazie al caso Reder (ufficiale delle SS tra i responsabili della strage di Marzabotto), divenne negli anni ‘80 un terreno di scontro politico, ideologico e religioso, e quando nel 1985 ci si approssimò all’anniversario cruciale, il clima si fece ancor più teso. Alla fine di gennaio del 1985 Craxi decise di mettere anticipatamente il libertà Reder, il quale potè fare ritorno in Austria.
Nei primi anni ‘80 uscirono due film ambientati durante la Resistenza. Il primo, uomini e nodi Valentino Orsini, fu un coraggioso tentativo di trasportare il romanzo di Vittorini sullo schermo, ma i risultati non furono del tutto felici. Storia ben diversa per La notte di San Lorenzo de fratelli Taviani.
Rilievo ebbe la pubblicazione del romanzo di un ex repubblichino Carlo Mazzantini, A cercar la bella morte Ciò nonostante, l’attività fu sempre intensa, e furono pubblicate raccolte di documenti sulle formazioni garibaldine e gielliste, rispettivamente nel 1979 e nel 1985. Il curatore del volume sui giellisti, Giovanni De Luna, aveva dato alle stampe nel 1982 la sua Storia del Partito d’Azione. L’opera memorialisti cadi gran lunga più importante fu Il ragazzo rosso va alla guerra di Gian Carlo Pajetta, uscita nel 1986.
La crisi dei paesi dei sistemi socialisti dell’Est e dell’Unione Sovietica con i risvolti sul sistema politico italiano, intaccando gli assetti della memoria pubblica delineatisi nel dopoguerra, ebbe evidenti ripercussioni anche sul ricordo della Resistenza. L’ annuncio della “svolta” , ovvero la fine del PCI, ebbe un riferimento diretto, finanche spaziale, alla vicenda resistenziale. L’allora segretario Achille Occhetto in occasione del tradizionale incontro con i partigiani della Bolognina disse «al momento che la fantasia politica in questo fine ’89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato nella Resistenza.».
Ma la “fantasia” di quegli anni produsse ben altro. Secondo Glauco Bertani, autore di un dettagliato studio sulla vicenda, nel solo mese di settembre 1990 uscirono sulla stampa nazionale ben 1.321 articoli sul “triangolo della morte” ovvero sugli omicidi di ex fascisti e persone a loro legate perpetuatisi dopo la Liberazione tra le province di Reggio Emilia, Ferrara, Bologna.
Il più autorevole tentativo della storiografia di mettere ordine nelle dispute memoriali di quegli anni fu di Guido Quazza, il prestigioso decano della storiografia della Resistenza, esaminava scrupolosamente la semantica dell’espressione “guerra civile”, proponendo un’interpretazione alternativa e meno suscettibile di polemiche, basata sul concetto di « guerra di civiltà». I suoi scritti a riguardo furono pubblicati nel 1990, prima che scoppiasse la polemica sul triangolo della morte. Il noto libro di Claudio Pavone, invece, uscì dopo circa un anno dall’avvio della polemica, e il modo in cui venne accolto fu pesantemente condizionato dal clima che nel frattempo si era creato.
GLI ANNI NOVANTA: FRA REVISIONISMO E RECUPERO DELLA MEMORIA
Negli anni 1990-1995 le principali pellicole su tematiche resistenziali furono Il caso Martello del 1991 Gangsters del 1992.
Ma l’impatto maggiore lo ebbero altre immagini, originariamente girate da esperti cineoperatori americani che erano poi rimaste a lungo in deposito presso il National Archives di Washington. Roberto Olla, curatore del progetto, e Leonardo Valente, che insieme a lui presentava il programma, spiegarono alla stampa, prima della messa in onda del primo episodio “speciale” prevista per il 5 aprile 1994 (pochi giorni dopo la vittoria elettorale di Berlusconi), che il loro ruolo consisteva semplicemente nel presentare il materiale filmato, senza ulteriori interventi.
Per quanto riguarda la letteratura per l’infanzia significativa fu l’uscita di Ci chiamavano banditi di Guido Petter, che si rivolgeva specificamente alla fascia di età inferiore ai 14 anni.
Nel 1994 Nuto Revelli, pubblicò Il disperso di Marburg, un testo che non rientra in nessuna specifica categoria, ma che è affascinante miscuglio di generi in cui a dinamiche investigative, ricerche storiche dettagliate, annotazioni diaristi e memorie si affiancano riflessioni sulla natura dell’indagine storica.
Sulla scia del romanzo di Mazzantini di qualche anno prima (A cercar la bella morte), che anche la critica letteraria di sinistra accolse quanto meno con rispetto, si inserì il giornalista Gianpaolo Pansa con uno specioso artificio narrativo e un esercizio di riduzionismo morale evidente nel suo libro Guerra partigiana tra Genova e il Po, cerca in definitiva di assolvere i soldati dell’RSI sulla base del fatto che non sapevano quel che facevano, anche se all’inizio i suoi lavori non suscitarono grande interesse.
Negli anni ‘90 la produzione di testi letterari è stata meno rilevante, almeno fino al 2012-2013, quando sono usciti Dove finisce Roma di Paola Soriga e In territorio nemico opera frutto del progetto di Scrittura industriale.
Sicuramente il discorso d’investitura come presidente della camera di Luciano Violante del 1996 rappresenta il momento di cesura. «Offrendo ai neofascisti questa legittimazione democratica, Violante commise anche l’errore strategico di non pretendere niente in cambio. Ma perfino se avesse chiesto ai ragazzi di Salò di ricambiare il favore con una concessione di qualche sorta, non vi fu.
Per Vacca storico Presidente della Fondazione “A. Gramsci”, il ricorso a categorie politiche di ‘50 anni prima indicava che la battaglia , da molti punti di vista, era già stata persa. Era un’osservazione acuta, con cui si sottolineava che i motivi del riemergere del dibattito sulla pacificazione erano solo contingenti.
Fin da quando nel 1986 Jűrgen Habermas pubblicò il suo famoso saggio Sull’uso pubblico della storia, gli storici italiani sono stati senz’altro consapevoli delle problematiche connesse a quello che definiscono l’uso pubblico della storia, nel quale, come l’autore nota, riprendendo le riflessioni di Paolo Pezzino, il dibattito storiografico da allora in poi fu finalizzato più ad altri ordini di discorso che alla definizione dell’oggetto studiato
Con l’elezione dell’altro presidente partigiano, l’ex azionista Carlo Azelio Ciampi, tramite la presidenza della Repubblica, il discorso sulla resistenza recuperò una sua visibilità. Il rinnovato riferimento alle vicende resistenziali fu però collegato alla rivalutazione di altre forme di resistenza. Ciampi esaltò ripetutamente il riferimento al massacro dei soldati italiani Cefalonia, temi a cui avrebbe fatto ricorso quando decise di criticare lo storico Ernesto Galli Della Loggia, autore nel 1996 di un influente studio dal titolo La morte della patria.
Nel frattempo Pansa continuò a pubblicare opere di narrativa, per poi, nel 2002, adottare un approccio diverso, nel quale, almeno apparentemente, l’equilibrio fra letteratura e storia veniva alterato con il romanzo I figli dell’Acquila. Tuttavia, nonostante i rischi di un libro che si collocava perfettamente nel contesto delle discussioni aperte da Violante, le reazioni non furono molte. Pansa, certamente pensò che avrebbe dovuto gettare altra benzina sul fuoco. Il suo successivo lavoro, Il sangue dei vinti,provocò una reazione i cui riflessi si sono riverberati fino ai tempi recenti: una versione cinematografica del libro, con un attore di fama come Michele Placido, suscitò dapprima critiche di vario segno al Festival del cinema di Roma, e quindi nel pubblico cinematografico, finchè nell’autunno del 2009 venne trasmessa sugli schermi televisivi.
Pansa inserendosi nel filone revisionista, non può essere però considerato un fanatico visto che i suoi libri sono gli esempi commercialmente più riusciti di una tendenza di più ampia portata , che ormai fa parte integrante del circuito editoriale.
Negli ultimi anni oltre ai libri di Santo Peli, altre due opere di consultazione: il Dizionario della resistenza italiana uscito in due volumi per Einaudi, a cura di Enzo Collotti, Luca Sandri e Frediano Sessi, e l’Atlante storico della Resistenza pubblicati dalle Edizioni Bruno Mondadori, hanno invece riportato al centro in modo più sobrio la ricerca storica su basi scientifiche, naturalmente con esiti editoriali diversi dalle opere di Pansa.
Ma l’altro grande fatto che caratterizzò gli l’avvento della II Repubblica fu quello relativo all’armadio della vergogna, scoperto nel 1994. Gli studi Pezzino e Baldissarra mostrano come non si trattò si semplici risposte specifiche ad un’attività partigiane, ma di una serie di massacri eliminazionisti messi in atto in base a un piano coerente.
L’anno dopo Il giorno nero di Porzus uscì I piccoli maestri diretto da Daniele Lucchetti ispirato d un’opera letteraria di Luigi Meneghello e il Partigiano Johnny ispirato dal famoso romanzo di Fenoglio che però perde alcuni elementi che caratterizzano il testo fenogliano, soprattutto la complessa tecnica narrativa che è in grado di creare un’interazione fra il narratore e le percezioni del protagonista. L’uomo che verrà di Giorgio Diritti offre anche qualcosa di veramente inedito, vale a dire una raffinata analisi dei ruoli di genere nella vita contadina, e una convincente indagine sulla dimensione maschile.
L’insieme delle brevi considerazioni qui esposte porta ad affermare che l’Italia, pur non essendo certo l’unico paese ad avere avuto un rapporto tormentato e complesso con il proprio passato, per la natura, la durata e l’intensità delle discussioni che si sono sviluppate sulle fratture della propria storia, non solo non ha trovato una sintesi ma più di altri paesi vede memorie emozionali e particolari sovrastare la ricerca storica nello spazio pubblico.
di Giuseppe Fresolone
direttore scientifico del MOA (Museum of operation Avalanche)