Oggi è il giorno della memoria dedicato alle vittime di terrorismo
9 Maggio 2020Non è certo la prima volta che l’Italia si ferma. Col fiato sospeso. Esattamente quarantadue anni fa terminavano cinquantacinque giorni di sgomento, di incertezza e di tensione. Ovviamente il riferimento è al Caso Moro. Prima, però, facciamo un rapidissimo passo indietro per i pochi che non dispongano di un’infarinatura generale del periodo citato.
Partiamo dal 16 marzo 1978. Alle 10:00 avrebbe dovuto presentarsi in Parlamento il nuovo governo di “solidarietà nazionale”, avente come capo dell’esecutivo Giulio Andreotti. Alle 09:03 arriva una prima chiamata anonima al 113; una voce parla di una sparatoria in via Fani, Roma Nord. Vittime sono Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, i cinque uomini della scorta di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. Quest’ultimo, invece, viene rapito.
Le Brigate Rosse rivendicano l’attentato, alle 10:05. Di qui si susseguirono lettere di Moro indirizzate ai suoi membri di partito, accesi dibattiti fra parti politiche riguardanti eventuali trattative coi sequestratori (il PCI si rifiutava, il PSI era favorevole, la DC si spaccò al proprio interno), un appello di Papa Paolo VI (“Vi prego in ginocchio: liberate Moro”). Quei cinquantacinque giorni di confusione e instabilità, culminarono con l’assassinio del politico democristiano, il cui cadavere fu ritrovato in una Renault 4 rossa, in via Caetani, il 9 maggio 1978.
Tutto ciò avvenne probabilmente perché le Brigate Rosse avrebbero voluto dimostrare la debolezza dello Stato e incrementare i propri seguaci, puntando a trasformare il terrorismo in un fenomeno di massa. Fu invece qualcosa di inaudito che evidenziò la gravità del movimento terroristico, rendendo la stigmatizzazione pubblica forse uno dei primi elementi della fine del terrorismo stesso. Questo tragico episodio va però inquadrato in un contesto decisamente più ampio che una semplice questione nazionale. Del resto, ci si trovava nel mezzo della Guerra Fredda.
Insomma, appare chiaro che le ombre da rischiarare riguardo l’accaduto sono decisamente tante. Troppe. Questo non ridimensiona per nulla il valore che può avere il ricordo di quel momento storico. Proprio per questo, ci ricolleghiamo alla prima frase di questo articolo. Perché come diceva Nelson Mandela, “il ricordo è il tessuto dell’identità”. Forse, ricordando le ferite al cuore che questo Stato ha subito in un passato non eccessivamente remoto, possiamo trarre dal dolore di quegli anni la forza per guardare avanti.
Nel “Giorno della Memoria” dedicato alle vittime del terrorismo e in occasione del 42° anniversario dalla uccisione del Presidente Aldo Moro, il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha richiamato «il tributo di riconoscimento che deve essere offerto al sacrificio di chi è stato colpito dalla violenza del terrorismo di ogni matrice e il sentimento di vicinanza e di solidarietà dovuto alle loro famiglie».
«Il ricordo di dolorosissime vicende della nostra storia deve spingere tutti noi a promuovere e garantire con forza i diritti di libertà ed a condannare e contrastare ogni forma di terrorismo, che rappresenta un pericolo per le istituzioni democratiche e repubblicane ha aggiunto la titolare del Viminale – onorare tutte le vittime del terrorismo nel giorno in cui ricorre l’anniversario del barbaro assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse non è solo un dovere morale ma l’occasione per il richiamo ai valori di unità e di rispetto che sono alla base della nostra convivenza civile e che devono essere sempre difesi».
42 ANNI FA L’ASSASSINIO DI PEPPINO IMPASTATO
Esattamente 42 anni fa, il 9 maggio 1798 moriva anche Peppino Impastato, assassinato a Cinisi, in provincia di Palermo. Giornalista, attivista e membro della Democrazia Proletaria, è ricordato per le sua lotta contro Cosa Nostra.
Nato a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa, quando è ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa.
Nel 1965 fonda il giornalino “L’Idea socialista” e aderisce al Psiup. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia.
Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, di suicidio. Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro Siciliano di Documentazione di Palermo, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria.