Il 23 maggio 1992 moriva Giovanni Falcone
23 Maggio 2020“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Forse se siamo ancora qui a parlarne (e ci saremo ancora per moltissimo tempo), è perché queste parole sono profondamente vere. A pronunciarle è stato Giovanni Falcone, uomo simbolo della lotta al cancro di questo Paese: la mafia (e più in generale, le organizzazioni criminali). Il decennio 1982-1992 fu il periodo in cui la mafia sembrava essere più forte dello Stato. Vennero uccisi decine di giornalisti, carabinieri, magistrati, uomini politici e via discorrendo. Ma fu proprio fra le professioni delle vittime (e non solo) che emersero figure mirabili, pietre miliari dell’ossatura morale di questo Paese.
Proprio nel 1982, a seguito dell’omicidio di Pio La Torre, il generale dell’arma dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo chiave nella lotta al terrorismo, venne inviato a Palermo, come segno di volontà di duro contrasto alla mafia. Il generale però fu assassinato il 3 settembre 1982. A seguito del clamore destatosi, il Parlamento varò la legge Rognoni-La Torre, che fornì alla magistratura importanti strumenti per la lotta, fra tutti quello di poter sequestrare e confiscare i patrimoni dei mafiosi. Sempre a Palermo, per merito del giudice Rocco Chinnici (poi ucciso con un’auto-bomba), prese vita il “pool antimafia”, guidato da Antonino Caponnetto. L’apogeo si raggiunse nel 1986, col cosiddetto maxiprocesso di Palermo, che vedeva coinvolti 456 imputati e che terminò con l’ergastolo ai principali capi di mafia. La reazione fu brutale, e ricominciarono gli omicidi, fino ad arrivare al delitto di Giovanni Falcone, esattamente ventotto anni fa, il 23 maggio 1992. Episodio tristemente noto come “strage di Capaci”. Morirono infatti anche la moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
In quel drammatico avvenimento, non morirono “soltanto” cinque persone. Iniziò ad affievolirsi sensibilmente una fiamma, fino a spegnersi, probabilmente, 57 giorni dopo, con la scomparsa di Paolo Borsellino. Quel giorno iniziò a sbiadire l’ipotesi che a tratti era possibile sostenere, e cioè che la lotta alla mafia fosse qualcosa alla nostra altezza. All’altezza di tutti. Perché quegli esempi non erano “nient’altro” che uomini. Ma non per vana gloria: per sentito dovere, per poter guardare negli occhi familiari e conoscenti a testa alta, senza rimorsi. Ecco, è per questo che abbiamo scelto un pensiero di Giovanni Falcone per l’apertura dell’articolo. Ed è per questo che, per ricordarlo, crediamo che sia il caso di citarlo di nuovo. ” L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. Oggi più che mai: coraggio.