La nascita dei partigiani e della Resistenza in Italia

La nascita dei partigiani e della Resistenza in Italia

24 Aprile 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Ci eravamo lasciati con l’inizio della disfatta nazista e la caduta del fascismo, di cui abbiamo discusso nel primo dei tre appuntamenti che ci porteranno al 25 aprile 1945. Oggi proseguiamo col racconto della nascita dei partigiani e della Resistenza in Italia.

Al termine della puntata precedente avevamo detto che, dopo l’arresto di Mussolini «la guerra sembrava un ricordo e la dittatura totalmente ribaltata. Non era così, e il peggio non era ancora arrivato; ma per il momento, nonostante le tante sofferenze, la speranza percorse il paese». Ma il fascismo era ancora vivo; il re diede infatti ordine di reprimere ogni manifestazione antifascista, che sarebbero arrivate a travolgere anche la monarchia. D’altra parte il governo non voleva allarmare l’alleato tedesco, benché facesse avviare in segreto le trattative con gli angloamericani per l’armistizio. Seguirono settimane confuse. I tedeschi ebbero il tempo di concentrare un esercito d’occupazione in Italia, mentre il governo italiano trattava più o meno discretamente con gli alleati. Gli inglesi esigevano la resa incondizionata. Insieme ai sovietici rimasero sempre molto intransigenti con gli italiani.

Si arrivò, l’8 settembre, all’armistizio col quale l’Italia cambiava schieramento. Non diventava però alleata degli angloamericani, ma «cobelligerante»: cioè faceva la guerra insieme con loro contro i tedeschi, pur senza essere ancora loro alleata, ma anzi, soprattutto dagli inglesi, considerata un nemico da punire; come dire in attesa di essere riabilitata o meno. Lo stesso 8 settembre, il re e Badoglio, senza informare neppure i ministri, scapparono da Roma verso la Puglia, e si misero sotto la protezione degli alleati che negli stessi giorni sbarcavano a Salerno e occupavano l’Italia meridionale. un commando tedesco riusciva a liberare Mussolini, detenuto in una località segreta del Gran Sasso, in Abruzzo. Lo portò in Germania, per utilizzarlo alla testa di un governo fantoccio da organizzare nell’Italia del Nord.

L’Italia si spaccava in due per un anno e mezzo. Per l’unità del paese, ancora nuova e debole, almeno per il momento, la fine. La stessa identità degli italiani doveva essere ricostruita, rifondata. Nessuno voleva ammettere di essere stato fascista. In Piemonte e altrove alcune unità si diedero, con i loro ufficiali, alla guerriglia. Furono questi i partigiani «autonomi», che si dichiaravano apolitici e si battevano per conservare all’esercito italiano un onore che con la guerra fascista era stato perso. Furono però una piccola minoranza, benché significativa: infatti il grosso della Resistenza fu composto da unità fortemente politicizzate. Si unirono anche, a migliaia, i volontari antifascisti: operai, intellettuali, in Emilia e in Liguria anche contadini. Nacquero così le unità combattenti della Resistenza, e i tanti Comitati di Liberazione Nazionale che cominciarono a rieducare alla politica un paese soffocato da vent’anni di dittatura. I partigiani furono un vero esercito, di duecentomila combattenti, che subirono fortissime perdite in meno di due anni di guerriglia: quasi un terzo dei propri effettivi. Formarono il Corpo dei Volontari della Libertà, alla cui testa era il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), che a sua volta era in contatto col CLN nazionale che operava politicamente nell’Italia del Sud sotto controllo alleato. I tedeschi consideravano i partigiani alla stregua di banditi, e non li facevano prigionieri: chi cadeva nelle loro mani finiva impiccato o fucilato. In maggioranza i partigiani furono inquadrati nelle Brigate Garibaldi, comuniste. Erano però presenti, in forze soprattutto in Piemonte, anche i partigiani della sinistra democratica di Giustizia e Libertà (GL). Soprattutto in Veneto e in Friuli erano anche forti i cattolici, mentre minore era la presenza delle brigate Matteotti, socialiste, e quella degli «autonomi».

Non mancarono episodi di segno opposto, che arrivarono almeno in un caso, in Friuli, fino all’aggressione armata da parte di unità garibaldine che operavano con la resistenza iugoslava, contro una formazione autonoma. C’era in ballo il destino delle zone di confine, e i partigiani cattolici e nazionalisti della «brigata Osoppo» intendevano difendere l’appartenenza italiana e il sistema democratico. I partigiani comunisti che operavano con gli iugoslavi li accusarono di non esporsi al fuoco, e addirittura di fare il doppio gioco con i tedeschi e i fascisti, e giunsero fino ad attaccarli. Una ventina di partigiani della Osoppo furono così uccisi.

La Resistenza fu una guerra patriottica per la libertà e la democrazia, che riprendeva la tradizione repubblicana risorgimentale, e aveva intenzione di compierla. Si avverava con un secolo di ritardo il sogno di Mazzini e di Garibaldi: l’Italia aveva finalmente una guerra di popolo per bande, anche se solo in una parte del suo territorio: prevalentemente al Nord e in misura minore al Centro. Al Nord vi furono perfino zone «liberate»: la «Repubblica di Montefiorino» sull’Appennino bolognese, la «Repubblica dell’Ossola» presso il lago Maggiore. Si trattò di territori di cui i nazisti e i «repubblichini» persero il controllo per mesi, e in cui si cominciò a sperimentare la capacità di governo delle formazioni partigiane. Comunque anche a Napoli si ebbe, non la resistenza organizzata (non ce ne fu tempo), ma un episodio di insurrezione urbana spontanea contro i tedeschi, che dopo quattro giorni di guerriglia abbandonarono la città prima dell’ingresso degli Alleati. Pur con le sue differenze regionali, la Resistenza era una rivoluzione nazionale e democratica che poneva le basi di una coscienza nazionale popolare e di istituzioni politiche rinnovate. Per la prima volta nella storia d’Italia anche molte donne furono coinvolte nella lotta armata, perfino nei reparti combattenti, ma soprattutto per assicurare i contatti fra i comandi e le unità. Erano chiamate «staffette partigiane»; ragazze che riuscivano a passare in bicicletta i posti di blocco tedeschi e a portare ordini e notizie.

La Resistenza fu anche una guerra di classe: l’occasione per cambiare i rapporti sociali, per fare quella rivoluzione socialista che nel biennio rosso era stata sconfitta dal fascismo, ed era fallita per mancanza di connessione con la riscossa patriottica e democratica. I comunisti, maggioritari fra le formazioni partigiane, ma anche i socialisti, e in parte i cattolici e i democratici di Giustizia e Libertà (GL), pensavano che dopo la vittoria l’Italia sarebbe stata un paese governato dai lavoratori. I partigiani comunisti contavano di proseguire la lotta dopo la vittoria alleata, fino alla presa del potere da parte della classe operaia.

Di Francesco Mazzariello

 

Bibliografia:

“Il Novecento”, Paolo Viola, Einaudi.