L’inizio della disfatta nazista e la caduta del fascismo

L’inizio della disfatta nazista e la caduta del fascismo

23 Aprile 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Avremmo voluto festeggiare diversamente questo 25 aprile. Avremmo voluto essere fuori (o almeno abbastanza) dal marasma generato dall’avvento Covid-19. E invece siamo ancora alle prese con questa situazione spossante. Avremmo voluto celebrare una rinascita (un’altra) economica e sociale. Ma dobbiamo ancora fare i conti con chiusure e limitazioni.

Con questi tre appuntamenti intendiamo fornire ai lettori un quadro dei tre macro momenti che hanno portato al 25 aprile 1945. Il primo, che stiamo per affrontare, riguarda l’inizio della disfatta nazista e la caduta del fascismo.

Nell’estate ’42 le divisioni tedesche, accorse in Africa con l’aiuto italiano, consolidarono l’egemonia sulla Libia e si spinsero ad est per impadronirsi dell’Egitto britannico. Vennero fermati proprio dagli inglesi a pochi chilometri da Alessandria, che alla fine di ottobre contrattaccarono ad el-Alamein, iniziando la riconquista del deserto libico. La battaglia di el-Alamein poteva essere ritenuta la prima vera sconfitta della Wermacht, in quanto priva di fattori climatici come a Mosca e Leningrado ma puramente bellica. La battaglia decisiva però fu quella di Stalingrado, durata cinque mesi, iniziata il 5 settembre ’42. Da lì in poi, i tedeschi iniziano a ripiegare in Russia, senza riuscire più a fermare l’avanzata dei sovietici. L’Inghilterra aveva retto; l’URSS produceva più armi di quante ne venissero distrutte, e soprattutto disponeva di una popolazione smisurata; gli Stati Uniti erano stati attirati in guerra, e anche le ambizioni giapponesi si erano rivelate un azzardo. La battaglia di Stalingrado fu la riprova della ormai estremamente probabile vittoria degli alleati: i tedeschi erano stremati e nei successivi due anni avrebbero aggravato ulteriormente il numero di perdite.

La gente in Italia si distaccava sempre di più dal regime fascista e dalla sua guerra. Le città erano martellate dai bombardamenti alleati. Le razioni alimentari calavano per i ceti popolari urbani a molto meno delle duemila calorie giornaliere, indispensabili ad una dieta di puro mantenimento in condizioni di completo riposo. Solo esibendo le «tessere» si comprava da mangiare a prezzi controllati: quel poco a testa che il razionamento permetteva. Il resto si procurava al «mercato nero», che il fascismo non riusciva a reprimere. Ma i prezzi in quel caso erano altissimi. Un litro d’olio costava 650 lire al mercato nero, come un mese del salario operaio medio, che andava dalle due alle quattro lire all’ora. La guerra sempre più disastrosa, prima in Francia, poi in Grecia, Africa e Russia, seminava lutti che apparivano, a differenza di quelli del ’15-’18, inutili e insensati. Ogni famiglia aveva i suoi soldati morti o prigionieri, lontani da casa. Inoltre i gravissimi costi umani contrastavano penosamente con la retorica del regime. «Spezzeremo le reni alla Grecia» aveva detto fieramente Mussolini nel ’40; e di fronte allo sbarco in Sicilia aveva ordinato di «congelare il nemico sulla linea del bagnasciuga». Ma l’esercito italiano non era capace di opporre resistenza. I carri armati erano ancora da tre tonnellate, ironicamente definiti «scatole di sardine», contro le quaranta di quelli americani, le cinquanta di quelli sovietici, le sessanta dei tedeschi. A difesa della Sicilia l’Italia schierava forze numericamente sei volte inferiori a quelle alleate pronte allo sbarco. Gli industriali non trovavano più alcuna convenienza ad appoggiare un potere che portava il paese alla disfatta. Il Vaticano si allontanava da una complicità politica che rischiava di travolgerlo nel disastro fascista. Lo stesso faceva la monarchia.

Si poteva cercare di estromettere Mussolini mantenendo però i fascisti moderati al potere. Oppure si poteva sfasciare l’intero regime e chiamare a governare i partiti antifascisti. Si affermò una soluzione intermedia, quella di un «tecnico». Il 25 luglio 1943, pochi giorni dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Dino Grandi presentò al Gran consiglio del fascismo un ordine del giorno per la deposizione di Mussolini. L’iniziativa fu appoggiata da Ciano e venne approvata con 19 voti contro 7 e un astenuto. La casa reale aveva già deciso per la sostituzione del duce e nella notte lo fece arrestare. Al potere non fu chiamato un politico: il maresciallo Pietro Badoglio, in rappresentanza dei quadri anziani delle forze armate, fu scelto come sostituto. La gente esultava nelle strade e nelle piazze. La guerra sembrava un ricordo e la dittatura totalmente ribaltata. Non era così, e il peggio non era ancora arrivato; ma per il momento, nonostante le tante sofferenze, la speranza percorse il paese.

Di Francesco Mazzariello

Bibliografia:

“Il Novecento”, Paolo Viola, Einaudi.