Duecento anni fa nasceva Fëdor Dostoevskij, atomizzatore della mente
11 Novembre 2021Oggi dell’animo umano avremmo potuto sapere molto di meno. Oggi la psicologia potrebbe essere mancante di materiale di pregiata qualità. Oggi avremmo potuto sentire una grande mancanza nella storia della letteratura, e più in generale dell’uomo. Oggi avremmo potuto avere un consigliere in meno. Fortunatamente non è andata così. Duecento anni fa veniva alla luce quello che sarebbe diventato uno degli scrittori più grandi di sempre, capace di scandagliare la mente umana come nessuno prima. E forse anche dopo. Duecento anni fa nasceva Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Nacque a Mosca l’11 novembre 1821 nella famiglia di un medico militare. La sua infanzia fu triste per le ristrettezze della sua famiglia e per le impressioni a cui fu soggetto il suo animo per natura molto sensibile. Della tristezza infantile testimoniano del resto anche le sue lettere da Pietroburgo, dove egli, appena quindicenne, era stato inviato per frequentarvi la scuola militare per ingegneri. La rigida disciplina della scuola e la solitudine trovarono un compenso nella passione del giovanetto per la lettura. I suoi primi entusiasmi furono per Byron, Walter Scott, Balzac, Victor Hugo e E.T.A. Hoffmann, per Puškin, Lermontov e Odoevskij. L’atmosfera romantico-mistica rese subito il futuro scrittore conscio dell’individualismo come arbitrio in contrapposizione alla morale collettiva; problema che da Delitto e Castigo fino al Discorso su Puškin fu sempre presente al suo spirito. I primi tentativi di creazione furono però fatti da Dostoevskij sotto l’influsso di Schiller e di Shakespeare.
Il suo desiderio di discutere problemi e aspirazioni, che si alternava in lui col desiderio di solitudine, contribuì a farlo piegare momentaneamente verso il socialismo utopico che era al centro delle aspirazioni della giovane generazione russa. Questo lo portò alla frequentazione del sovversivo Circolo di Petrasevskij. Nel 1849 Dostoevskij fu arrestato insieme ad altri membri del gruppo. Tra gli altri capi d’accusa c’era anche quello di aver letto in una riunione la lettera piena di sfrontate espressioni contro la chiesa ortodossa e i poteri supremi, che Belinskij aveva indirizzata a Gogol′, dopo la pubblicazione dei Brani scelti della corrispondenza con gli amici, nei quali l’autore delle Anime morte aveva chiaramente enunciato la sua conversione alle idee reazionarie. L’esecuzione dello scrittore, però, fu sospesa pochi istanti prima dell’avvenimento, quando già i condannati erano saliti sul patibolo. Mutata la condanna in 4 anni di lavori forzati, cominciò l’ascesa del suo calvario. “I quattro anni di ergastolo io li considero ora come un periodo in cui fui sepolto vivo”, scrisse egli al fratello un anno dopo la liberazione. Ma, se da una parte gli orrori gli avevano straziato l’anima, dall’altra essa s’illuminò della scoperta che gli orrori non riuscivano a soffocare del tutto i valori morali e in alcuni casi anzi li rafforzavano; ciò si riversò nelle opere dell’età più matura dedicate al problema di Cristo nella vita moderna, e che si può riassumere con le parole stesse dello scrittore in un abbozzo dell’Adolescente (parole rimaste poi escluse dalla redazione ultima del romanzo): “Senza dubbio, Cristo non ci poté amare come siamo; Egli ci sopportò, ci perdonò, ma, naturalmente ci disprezzò; io, per lo meno, non posso immaginarmi diversamente la sua figura. Amare il prossimo e non disprezzarlo, è impossibile”.
Allo scadere dei quattro anni di lavori forzati Dostoevskij fu mandato come soldato semplice al 7° battaglione di fanteria a Semipalatinsk, dove ricominciò la sua vita letteraria e conobbe Maria Dmitrievna, che però fu un seguito di tormentose vicende, dovute alla malattia, alla gelosia e ai capricci di lei. Il ritorno a Pietroburgo nel 1859, dopo la sospensione dell’esilio, fu accompagnato da una vera e propria febbre di lavoro. La vita di Dostoevskij in questi anni d’intensa attività non fu felice. Nel 1864 gli moriva la moglie: poco più tardi moriva anche il fratello, col quale egli aveva sempre diviso tutte le preoccupazioni dell’attività giornalistica e col quale, dopo la proibizione di Il tempo, aveva iniziato la nuova rivista L’epoca, morta lentamente in mezzo a insuperabili difficoltà. Nel 1867 decise di risposarsi.
L’ultimo decennio della vita di Dostoevskij è povera di avvenimenti esteriori. Il ritorno in Russia significò rasserenamento dell’atmosfera e riordinamento della vita economica. Il successo dello scrittore era ormai un fatto positivo. Ne L’adolescente (1875) si ha il definitivo superamento dalle visioni di vita nietzschiane del protagonista di Delitto e castigo a quelle del cristianesimo russo dei Fratelli Karamazov (1879-80). A un solo anno dalla pubblicazione di quest’ultima opera, Dostoevskij morì, stroncato da una grave malattia polmonare, il 9 febbraio 1881 a San Pietroburgo; quest’anno, anche centoquarant’anni dalla morte.
Scrisse Oscar Wilde il 2 maggio 1867, su Pall Mall Gazette: «E che metodo sottile usa Dostoevskij per presentarci i suoi personaggi! Non li etichetta mai né li definisce con qualche descrizione. Impariamo a conoscerli gradualmente, come ci accade con le persone in società; all’inizio da piccoli modi di fare, dal loro aspetto, dal loro gusto nel vestire, e cose simili; successivamente arrivano i fatti e le parole; ma anche allora, essi ci sfuggono costantemente, perché per quanto Dostoevskij metta a nudo i segreti della loro natura, non ci spiega mai totalmente i suoi personaggi; possono sempre dire o fare qualcosa di sorprendente, e custodire così fino alla fine l’eterno mistero della vita». Chiunque si sia scontrato con le opere di Dostoevskij ha difficoltà nel non condividere quanto scritto dall’autore de Il ritratto di Dorian Gray.
Natalia Ginzburg, riguardo Delitto e Castigo, afferma che «il vano errare del protagonista in questo mondo non è che un angoscioso colloquio coi propri spettri». Forse basterebbe questo a spiegare l’enorme posto che occupa Dostoevskij. Ogni essere umano è alle prese coi propri mostri sin da quando sviluppa una coscienza. A volte addirittura ci tocca fare i conti con un castigo senza aver commesso un delitto. E allora in quei momenti, forse abbiamo tutti un po’ bisogno di Dostoevskij.