E se il Reddito di Cittadinanza fosse uno strumento efficace?

E se il Reddito di Cittadinanza fosse uno strumento efficace?

1 Giugno 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Da giorni assistiamo ad appelli e denunce di imprenditori che non riescono a trovare stagionali disposti ad avviare un’esperienza lavorativa a tempo determinato. Il colpevole principale è stato individuato nel Reddito di Cittadinanza, reo, secondo alcuni autorevoli esponenti del mondo politico ed economico, di aver inculcato una concezione assistenzialistica nella folta schiera di inoccupati che ne beneficiano. Il rischio, davanti ad una polemica come questa, è quello di ritrovarci a dare più importanza al particolare invece che al dato che emerge con più forza.

Il particolare, in questo caso, è rappresentato dall’applicazione non corretta di uno strumento che sarebbe dovuto essere il punto di transizione fra l’inoccupazione ed il lavoro e che, visto il mancato potenziamento dei centri per l’impiego e la grottesca vicenda dei navigator, è diventato un semplice sussidio per chi vive in una condizione reddituale non propriamente rosea. Un sussidio che in epoca di pandemia è diventato ancor più importante per quelle famiglie che hanno visto peggiorare la loro situazione economica. Al 30 aprile 2021, va ricordato, sono 1551358 i nuclei familiari che hanno percepito almeno una mensilità del Reddito di Cittadinanza nei primi quattro mesi dell’anno per un importo medio mensile di 549,96 euro.

Il dato, invece, è che quasi involontariamente il Reddito di Cittadinanza ha fatto emergere una criticità che in passato è stata sommersa dalla necessità di impiego anche a fronte di condizioni salariali poco convenienti (spesso anche in nero). Allo stato attuale, dunque, la scelta fra un lavoro sottopagato e la sicurezza di un’entrata come quella del Reddito di Cittadinanza pone l’individuo davanti una scelta in cui prevale, nella maggior parte dei casi, la seconda alternativa.

Dunque, riflettere sui motivi di un’applicazione bislacca del Reddito è fondamentale, anche alla luce dei tanti casi segnalati in cui i percettori del Reddito lavoravano in nero. Altrettanto importante, però, è interrogarsi sulle ragioni che spingono i percettori (che non sono tutti scansafatiche come una certa vulgata vuole farli apparire) a rifiutare i «fantastici» impieghi proposti ed a scegliere la sicurezza di un’entrata che, va ricordato, rimane comunque «a termine».
La questione dei salari e delle tutele lavorative, ben raccontata da Antonio Piccirilli su Today, dovrebbe essere pane quotidiano per la sinistra, che invece passa il tempo ad accusare chi si permette di rifiutare il lavoro senza tenere conto di quanto quel rifiuto sia in realtà il risultato di anni di dibattiti inutili pieni di contenuti vuoti sulla riduzione del cuneo fiscale e sull’abbassamento del costo del lavoro.

Ora che la pandemia ha presentato il conto sarebbe opportuno che gli esponenti della sinistra nostrana rispondessero ai tanti che lamentano l’impossibilità di reperire manodopera come un liberale di nome Giovanni Giolitti, non certo un marxista sovversivo, rispose nel 1901 ad un senatore del Regno che per via delle rivolte contadine era stato costretto a condurre l’aratro in prima persona: «La esorto a continuare – disse – così potrà rendersi conto della fatica che fanno i suoi contadini e pagarli meglio».

Alessandro Mazzaro
Direttore di Crea Sud