Neet, la generazione dimenticata
24 Maggio 2021I giovani d’oggi vivono situazioni di forte disagio, accentuate ancora di più a causa di circostanze causate da forze maggiori che non siamo in grado di controllare. Oggi più che mai una problematica seria che dovrebbe essere approfondita e presa in considerazione è proprio quella della generazione dei NEET.
A sostegno di quanto detto, la percentuale dei NEET, ossia di giovani che non lavorano e non studiano, è del 22.2% (giovani compresi tra i 19 ed i 29 anni). Il nostro paese, paragonato ad altri quali la Grecia, Bulgaria, Spagna, Slovacchia ed altri Paesi dell’UE detiene il primato. Si dice che addirittura si vadano a superare i dati della Grecia.
Sono numeri che “segnano un futuro tragico” per l’Italia, stando a quanto avverte la Cgil. Del resto l’Italia si conferma un Paese con scarse possibilità occupazionali che negli ultimi anni hanno aumentato la “fuga” dei giovani italiani all’estero. Chi rimane è scoraggiato, non studia e non cerca lavoro. (quifinanza.it)
Non si tratta di ”non voler fare niente”, ma se non è lo Stato a dare determinate possibilità, chi dovrebbe farlo? Purtroppo i disagi ci sono sempre stati, ma l’insorgere dell’epidemia da Covid-19 li ha resi ancora più evidenti.
Ma come mai in altri Paesi questo non succede? Anzi, sono numerosi i giovani italiani che decidono di ”evadere” da questa triste realtà per recarsi all’estero, magari in Paesi che offrono più possibilità.
Prendiamo ad esempio La Svezia, la quale molto spesso è presa in considerazione perché si dice che il sistema scolastico di cui gode sia quello ”ideale”. Non si tratta di studenti aventi ”menti più geniali” o chissà cosa, ma di sistema, di mezzi, di strutture, di persone realmente competenti. Anche qui si dovrebbe parlare di investimenti, che in Italia non vengono fatti.
E ricordiamo che è la politica educativa che permette di costruire una forte economia e tutto ciò gioverebbe particolarmente a tutto il Paese.
Non è un luogo comune, ma una realtà provata dalle statistiche. Da anni l’italia è terzultima in Europa per investimenti nel settore educativo: secondo un rapporto Eurostat, l’Italia riserva alla scuola circa il 3,8% (passato al 3,5% per il 2019 con l’ultimo documento programmatico di Bilancio) del Pil, almeno un punto in meno rispetto alla media europea – che si attesta al 4,9% del Pil – e molto al di sotto di altri Paesi: la Danimarca guida questa classifica con 7 punti percentuali, seguita dalla Svezia, con 6,5 punti, e dal Belgio con 6,4. Solo la Romania e l’Irlanda registrano un dato peggiore di quello italiano, rispettivamente con il 3,1% e il 3,7% del Pil. Anche altri Paesi europei che non fanno parte dell’Unione spendono più di noi: l’Islanda destina all’istruzione quasi l’8% del suo Pil, mentre Norvegia e Svizzera si attestano sopra i 5 punti percentuali. Guardando i dati si potrebbe obiettare che anche la Germania, con il suo 4,3%, si trova sotto la media europea, ma se consideriamo il valore del Pil tedesco, Berlino investe nell’istruzione 127,4 miliardi di euro l’anno, contro i 65,1 dello Stato italiano. Per quanto riguarda la percentuale di spesa dedicata all’istruzione rispetto alla spesa pubblica totale, l’Italia riconferma il trend negativo e si trova addirittura all’ultimo posto della classifica con il 7,9%. La Grecia spende l’8,2%, la Romania l’8,4%. L’Islanda il 15%. (thevision.com)
di Francesca Santoriello