Il Dantedì e l’inizio del viaggio della Divina Commedia

Il Dantedì e l’inizio del viaggio della Divina Commedia

25 Marzo 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

La letteratura italiana ha come pietra angolare un capolavoro mondiale: La Divina Commedia. Originariamente chiamata da Dante solo “Comedia”, poiché pur iniziando con la discesa agli inferi termina con l’arrivo alla felicità del Paradiso, diviene “Divina” quando Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477, le attribuisce l’aggettivo. L’opera si fonda sul viaggio ultraterreno che Dante compì agli inizi del Trecento. Secondo la teoria più accreditata, l’avventura dantesca ebbe inizio il 25 marzo 1300. Si celebra oggi il Dantedì.

In Inf. I,1, il poeta afferma di essersi smarrito nella “selva oscura” , “nel mezzo del cammin” della sua vita, cioè intorno ai 35 anni, poiché, sulla scorta di un passo biblico, egli considerava la durata media della vita in 70 anni.
Essendo il poeta nato nel 1265, l’anno del viaggio deve quindi collocarsi nel 1300. Si riteneva comunemente nel Medioevo che Cristo fosse morto al compiersi dei 34 anni dall’incarnazione, fissata per induzione, a partire dalla tradizionale data della natività (25 dicembre), al 25 marzo, data vicina, e non certo per casuale coincidenza, all’equinozio di primavera. Questa informazione non solo conferma l’anno del viaggio al 1300, ma offre uno spunto per individuarne il giorno di inizio. Bisogna, inoltre, ricordare che nel corso del Medioevo non era consuetudine iniziare a contare i giorni dell’anno dal primo giorno di gennaio. I documenti notarili tramandano diversi criteri di datazione, di cui i più comuni sono la datazione “ab nativitade”, cioè a partire dal 25 dicembre, e la datazione “ab incarnatione” cioè a partire dal 25 marzo. Il comune fiorentino, fra XIII e XIV secolo, preferiva questo secondo parametro. In base ai dati ora esposti è possibile dedurre che lo smarrimento di Dante nella “selva oscura” ebbe luogo il 25 marzo 1300, che a Firenze, era anche il primo giorno del nuovo anno e del nuovo secolo. Lo stesso passo dell’Inferno, tuttavia, potrebbe suffragare l’ipotesi che Dante intendesse riferirsi, facendo coincidere la data dell’inizio del viaggio con il giorno della morte di Cristo, non al tradizionale 25 marzo ma al Venerdì Santo, che nel 1300, cadde l’8 aprile.

La data che si è tramandata nei secoli è però il 25 marzo. Quest’anno la ricorrenza ha un sapore esageratamente diverso. Il 2021 è infatti il settecentenario della morte del Sommo Poeta, anniversario che troverà compimento il 14 settembre.

Il Dantedì, ha evidenziato Franceschini, è “una giornata per ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante con moltissime iniziative che vedranno un forte coinvolgimento delle scuole, degli studenti e delle istituzioni culturali. Dante ricorda molte cose che ci tengono insieme: Dante è l’unità del Paese, Dante è la lingua italiana, Dante è l’idea stessa di Italia”. Il Dantedì “permette di ravvivare ogni anno la memoria del Poeta, il cui ricordo è vitale per la stessa sopravvivenza della nostra identità nazionale”, ha detto il professore Carlo Ossola, presidente del  Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni della morte di Dante Alighieri, titolare della cattedra di letterature moderne dell’Europa neolatina al Collège de France a Parigi. La “Divina Commedia”, ha auspicato Ossola, “deve essere, per gli italiani, in  ogni famiglia, come il presepe”. “Mi auguro che, entro la fine anno,  il Ministero dell’Istruzione faccia dono di una ‘Commedia’ per ogni scolaro della nostra Repubblica”.  Per il professore Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, “celebrare Dante non è solo fare  memoria di un grande poeta. Perché Dante non è solo uno scrittore ma è un simbolo letterario dell’idea stessa di nazione, dell’idea di Italia. E Dante è il grande autore italiano che ha una statura  internazionale riconosciuta in tutto il mondo, dalla Cina  all’Australia. Parlare di Dante è parlare dell’Italia”.

In occasione delle celebrazioni per il Dantedì, il 25 marzo, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro della Cultura, Dario Franceschini, in diretta su RaiUno, alle 19.10, Roberto Benigni legge il XXV Canto del Paradiso nel Salone dei Corazzieri al Quirinale. Presenta Serena Bortone, interviene il gruppo di musica antica Al Qantarah.

Il sito del Ministero della Cultura presenta il palinsesto di eventi che celebrano il Dantedì.

“La coerenza di Dante sia un esempio per noi”. È l’esortazione del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che con un’intervista al Corriere della Sera celebra i 700 anni dalla morte del poeta, anche se – avverte – “non mi ha mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse” quindi “eviterei analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi”, premette Mattarella, mentre “va sottolineata la sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni e insegnamenti validi per sempre” a prescindere “dalle specifiche situazioni di epoche differenti”. Da Dante, dunque, secondo il Presidente “ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile” tant’è che “alcune delle difficoltà e dei punti critici nel nostro carattere di italiani affondano le radici in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto inevitabilmente per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento unitario”. Quindi, per Mattarella, l’universalità del poeta fiorentino, e la “sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre” e di esser stato “punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti”. Tant’è che “l’universalità e, insieme, la bellezza di Dante” secondo il capo dello Stato vanno “ricercate proprio nella particolare attitudine di penetrare nel profondo nell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni” ma “i vizi che Dante descrive la tendenza al peccato, secondo la sua concezione filosofica e religiosa sono gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo: avidità, smania di potere, violenza, cupidigia… La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perché ci parla di noi”, chiosa Mattarella.  Che però venendo all’oggi sottolinea: “Non so quanto possiamo paragonare la pandemia all’Inferno dantesco. Certo, alcune scene drammatiche che abbiamo visto e vissuto, come la fila di camion con le bare in partenza da Bergamo, avrebbero bisogno della sua immensa capacità descrittiva. Esulando per un attimo da Dante, ribadisco che in questa emergenza abbiamo tutti riscoperto, al di là di tanti e ingiusti luoghi comuni, il grande patrimonio di virtù civiche solidarietà, altruismo, abnegazione che appartiene da sempre alla nostra gente“. E sull’insegnamento politico di Dante, che ci può riportare al presente, Mattarella segnala “la sua coerenza”, “il suo senso della giustizia, la sua concezione morale gli impongono di rifiutare” perché “l’interesse personale, la fine del doloroso esilio, non viene barattato con il cedimento delle proprie convinzioni etiche. Non si tratta di moralismo o di superbia e neppure di legittimo orgoglio. Dante è mosso dalla convinzione, altamente morale, che andare contro la propria coscienza renderebbe effimero il risultato eventualmente ottenuto“, conclude il Presidente della Repubblica.