Congo: la morte di un uomo, una ferita collettiva

Congo: la morte di un uomo, una ferita collettiva

29 Marzo 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

La recente e dolorosa morte dell’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, insieme a quella del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, ha generato profondo sgomento, in misura maggiore tra coloro i quali conoscono l’enorme quantità di annose questioni che attanagliano la Repubblica Democratica del Congo, esemplare rappresentante di tutto quel groviglio di problematiche che interessa l’Africa in larga parte.
Le guerre civili, lo strascico di una cultura occidentale che ha preso, deturpato e mai restituito, le numerose etnie che continuano ad esaltare la propria discendenza come unica e pura, le questioni religiose, la salvaguardia dei confini con il Sud Sudan e il Ruanda, le guerriglie tra forze armate interne per la gestione dei bacini minerari, le policy che contribuiscono troppo spesso all’infiltrazione di corruzione e annientamento dei diritti civili e politici a discapito dei cittadini. Tutto questo è pane quotidiano per un’intera parte di mondo, molto più ampia di quello che possiamo immaginare.

La morte dell’Ambasciatore Luca Attanasio ha lasciato un persistente senso di amarezza perché è la dimostrazione che stanno venendo meno quei codici di sicurezza mai apertamente espressi, e quasi sempre silenziosamente rispettati, che garantiscono la salvaguardia e il rispetto delle rappresentanze occidentali, rendendoci  così vulnerabili e impotenti davanti ad un sistema  internazionale di forze ed equilibri  complessi  ed impenetrabili che noi, senza saperlo, o forse sapendolo fin troppo bene, abbiamo contribuito a creare.

La triste vicenda del nostro Ambasciatore ha fatto riemergere, per l’ennesima volta, un nervo scoperto che pur esistendo da molti anni, troppo spesso viene tralasciato: sto parlando della guerra dei minerali che alimenta il sottobosco delle maglie politiche ed economiche non soltanto della Repubblica Democratica del Congo (RDC), ma dei colossi che regolano il mercato internazionale.

La RDC grazie alla sua posizione geografica, nel cuore dell’Africa, gode di uno tra i sottosuoli più ricchi del pianeta grazie all’estesa quantità di bacini minerari che possiede: tra i tanti annovera oro, diamanti, terre rare, petrolio e coltan. Il coltan è il materiale che più di tutti contribuisce all’opulenza di alcuni settori produttivi che operano in tutto il mondo. Con la sua composizione chimica di columbo-tantalite e la sua consistenza rocciosa di colore rosso-bruno, il coltan è l’elemento primario di tutti gli strumenti hi-tech che usiamo quotidianamente. Cellulari, computer, telecamere, macchine fotografiche digitali, ipad, tablet e chi più ne ha più ne metta, sono tutti composti da questo minerale che ne compone principalmente la batteria oltre che molti altri elementi.

Soltanto la RDC ne possiede l’80% della quantità mondiale all’interno dei suoi bacini minerari, principalmente nella regione del Kivu, (proprio dove è avvenuto l’omicidio dell’Ambasciatore Attanasio), possiamo dunque immaginare quanto potrebbe essere potenzialmente ricco questo territorio. Ma possiamo solo immaginarlo poiché la realtà è ben diversa.

Quasi tutte le miniere di coltan sono gestite da gruppi militari armati, che solo attraverso la violenza hanno ottenuto il potere di gestione di tali risorse. Il metodo che utilizzano è quello che da sempre regola le leggi della natura: i più forti vincono, i più deboli perdono. In questa circostanza basta poco definirsi forti: avere armi, indossare una divisa ed essere sommessamente appoggiati da alcune forze politiche locali è la condizione perfetta per rappresentare il potere.  Stupri e omicidi sono il metodo di autoaffermazione quotidiano, basti pensare che nel 2018 il premio Nobel per la Pace è stato vinto da Denis Mukwege, medico congolese che ha costruito ospedali nella regione del Kivu per tutte le donne rese vittime di violenze atroci dalle milizie armate che si impossessavano di interi territori e villaggi per scavare nuovi bacini.

 Le miniere di Coltan possono essere cave a cielo aperto oppure profondi e strettissimi cunicoli sotterranei che si estendono per chilometri , i corpi più adatti ad intrufolarsi sono quelli dei bambini che vengono costretti a lavorare in turni massacranti anche di dodici ore per 1 o 2 dollari al giorno, non è un caso che Amnesty International nel 2015 abbia dedicato un intero report alle morti infantili nelle miniere di Coltan dichiarando che solo nel 2014 l’UNICEF aveva stimato l’impiego di 40.000 bambini e bambine in questo atroce sistema.

Il Coltan, una volta accumulato nel tempo, poiché si scava per intere giornate solo per ottenere pochissimi grammi di minerale, viene venduto dai gruppi armati, attraverso molti passaggi in luoghi sicuri per sfuggire ai controlli, ai colossi del mercato tecnologico che utilizzano il Coltan comprato a prezzi più che stracciati e rivendendolo, ormai assemblato negli ultimi modelli di cellulari o pc, a costi esorbitanti.

Tutti i giorni usiamo cellulari o computer che sono stati modellati esattamente con questo sistema disastroso e corrotto e, senza saperlo, le nostre corse all’acquisto dell’ultimo modello non fanno altro che accelerare il processo di consumo di questi beni e dunque della loro produzione.

La nostra scelta d’acquisto di un bene che ormai giudichiamo primario, come il cellulare, contribuisce alla deturpazione di un intero Stato, all’aumento di gruppi militari armati e parassiti del governo, all’infiltrazione della corruzione nella governance congolese ed alla morte continua di bambini, donne e uomini che reputano questo inferno dantesco, il “mestiere” che permette loro di vivere, o meglio, di sopravvivere. Ecco come un nostro minuscolo gesto può generare un uragano dall’altro lato del mondo.

L’Ambasciatore Attanasio e il carabiniere Iacovacci dovevano essere protetti in quanto rappresentanti Italiani in Congo, invece sono stati uccisi, ma le loro morti rappresentano molto di più: è stata colpita l’Istituzione, la Giustizia, l’Italia, l’Occidente. Una ferita dolorosa e ancora aperta è stata inflitta da quello che ci piace definire Terzo Mondo e invece è la parte di Mondo più forte e ricca che ci sforziamo di nascondere e zittire.  Questa ancestrale ferita aperta riguarda un po’ tutti noi, proviamo a riflettere su quello che è stato, su quello che è e su quello che potrebbe essere.

Di Maria Carmela Mandolfino

 


L’Africa è l’utero della specie umana.

L’Africa è la miniera prima.

L’Africa è la rapina più antica,

schiavi, oro, diamanti, petrolio.

L’Africa è la più grande valanga di accuse

al resto del mondo.

L’Africa ci chiamerà in giudizio.

La sua sentenza sarà mite e spietata,

dichiararci tutti maledetti figli suoi.

Erri de Luca