Trentun anni fa il crollo del Muro di Berlino

Trentun anni fa il crollo del Muro di Berlino

9 Novembre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

I sistemi geopolitici che viviamo oggi sono il risultato di alcuni avvenimenti epocali. Fra questi c’è sicuramente il crollo del Muro di Berlino, avvenuto trentun anni fa.

Costruito nel 1961 in una sola notte, quella fra il 12 e il 13 agosto, il muro serviva per bloccare il flusso migratorio degli abitanti di Berlino Est verso Berlino Ovest. Ci troviamo a poco più di un decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale, che ha scosso coscienze e generato orrori come nessun altro prima. Siamo nel mezzo della “guerra fredda” che vede contrapposti il blocco orientale e occidentale. Nel ’53 Stalin è morto ed è succeduto da Nikita Chruscev, noto per aver avviato un processo di “destalinizzazione”, equivalente a una destrutturazione del culto della personalità del suo predecessore, fenomeno che ha influenzato la vita dell’URSS e di buona parte dei Paesi “satelliti”. Fra questi, Ungheria e Polonia. In quest’ultima, nel ’56 scoppiano scioperi operai. Da Mosca il suggerimento è quello di riabilitare Wladyslaw Gomulka, destituito e imprigionato nel ’48. Fatto ciò, Gomulka ricuce i rapporti con l’URSS e procede a una serie di riforme, privatizzando aziende agricole riconoscendogli consigli operai autonomi e riaprendo i dialoghi con la Chiesa cattolica. Su questa scia, in Ungheria partono manifestazioni simili, in particolare fra studenti e professori universitari. A Budapest viene abbattuta una statua di Stalin. L’esercito, mandato per reprimere, si unisce ai manifestanti. Qui a esser richiamato è Imre Nagy. Quest’ultimo però prospetta la possibilità di un significativo cambio di rotta per l’Ungheria, uscendo dal Patto di Varsavia. Il governo sovietico reagisce sopprimendo quest’ipotesi, e l’esperienza ungherese si chiude nel peggiore dei modi.

Nel ’61, dopo la riapertura fra Berlino Est e Ovest, un numero importante di comunisti tedeschi della parte orientale della città si spostano in quella occidentale, per poi andare a vivere definitvamente nella Repubblica Federale Tedesca. Il flusso migratorio è oggetto di contesa mediatica, perché gli organi di stampa occidentali lo considerano un’evidente prova di scarso consenso del governo comunista della Germania Est. Quest’ultima, d’accordo col governo sovietico, decide di costruire il famigerato muro, dotato di postazioni di guardia. Il flusso migratorio ovviamente cala drasticamente, ma le polemiche mediatiche crescono notevolmente. L’iniziativa porta anche molti simpatizzanti occidentali del sistema comunista a screditarlo.

La fase che porta al crollo del muro è costellata di eventi. Il sistema sovietico attraversa una profonda crisi dal ’70. La crisi petrolifera si abbatte anche sui paesi comunisti. Qui, l’agricoltura è inefficiente come mai, e grandi quantità di grano marciscono nei magazzini e i Paesi dell’Est sono costretti a importare beni alimentari a prezzi elevatissimi, dato il periodo di grandi trasformazioni economiche. Le loro industrie sono vecchi impianti che generano un livello di inquinamento ambientale che per i Paesi europei è impressionante. La rete commerciale è disastrosa. Per acquistare i beni di prima necessità bisogna fare lunghe file in negozi spesso mal riforniti. I cittadini a volte ricevono notizie delle condizioni di vita presenti fuori dal blocco; condizioni che per loro sono in quel momento impensabili. Dalla Polonia arrivano altre testimonianze della debolezza che i governi comunisti vivono. L’aumento dei prezzi dei beni alimentari provoca scioperi nelle fabbriche. A Danzica, i lavoratori, guidati da Lech Walesa e Anna Walentynowicz, fondano addirittura un sindacato libero: “Solidarnosc”. La Chiesa cattolica, con al tempo come papa Giovanni Paolo II, ex arcivescovo di Cracovia, appoggia il movimento. Nel dicembre ’81 il governo, presieduto dal generale Jaruzelski, proclama lo stato di emergenza e scioglie con forza il nuovo sindacato. In Ucraina, nell’aprile ’86, esplode uno dei reattori della centrale nucleare di Chernobyl. Si sprigiona una nube radioattivo che arriva anche in Europa orientale, Scandinavia, Germania, Francia e Italia. L’allora segretario Gorbacev lancia uno slogan programmatico: “perestroika” (ristrutturazione). Perde però completamente il controllo della situazione. Nel frattempo Lettonia, Estonia e Lituania si dichiarano indipendenti. Gorbacev viene sconfitto alle elezioni da Eltsin. Fallito un colpo di stato dell’ala conservatrice del governo, anche e soprattutto perché sia Eltsin sia una parte dell’esercito si oppone, nel ’91 l’URSS inizia a dissolversi, con annessa frana del blocco dell’Est.

Nella Germania Est il processo di smantellamento è scandito da due eventi. Nell’estate ’89 moltissimi cittadini della Germania Est, attraversando l’Ungheria, si recano prima in Austria e infine in Germania, ovviamente Ovest. A quel punto sembra inutile tenere chiuse le frontiere. La decisione di aprirle porta a manifestazioni di gioia che culminano con l’abbattimento del muro alto 3.60 metri, sotto lo sguardo indifferente delle guardie di frontiera.

Dopo ventotto anni, un simbolo di divisione cadde a pezzi. Ma è sufficiente l’evento simbolico? Enrich Honeker, due giorni dopo il crollo, disse: “Il Muro esisterà ancora fra cinquanta e anche fra cento anni, fino a quando le ragioni della sua esistenza non saranno venute meno”. La risposta è affidata al tempo.

Di Francesco Mazzariello