La sfida del digitale e la mancata programmazione negli ultimi 20 anni

La sfida del digitale e la mancata programmazione negli ultimi 20 anni

17 Ottobre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

La riflessione e il conseguente dibattito sul digitale nel nostro Paese è un fatto, che è stato, d’altronde, monitorato e sviluppato nei vari aspetti anche sul nostro magazine.

Oggi, però è fondamentale affrontare il tema prendendo in considerazione dei dati precisi, per cui al fine di avere una visione completa del fenomeno è importante partire dai numeri, ossia in sei anni l’Italia ha speso poco più di 28 miliardi dei 76 miliardi dei fondi strutturali europei a disposizione.

Appena il 37% del totale, per bloccare i circa 48 miliardi che sono ancora a disposizione restano appena due mesi e mezzo.

C’è un’oggettiva incapacità a spendere i fondi europei, ma questa è una problematica purtroppo risaputa, ma subentra un rischio imponente per i 209 miliardi del Recovery Fund che spettano all’Italia, in quanto sono oltre quattro volte i fondi strutturali della programmazione 2014-2020 che si avvia a conclusione, oltre al fatto che i 209 miliardi dovranno essere impegnati non in sette anni, bensì in tre anni.

I numeri, elaborati da Confindustria digitale, mettono in evidenza il possibile rischio di poter ricadere nella mancata spesa di tutti i fondi previsti per il nostro Paese, dal momento che già a fine anno si potrebbe certificare il percorso negativo e la mancata spesa di tutte le risorse presenti, ovvero i 76 miliardi dei fondi europei:
45 miliardi di risorse Ue e 31 miliardi di cofinanziamento nazionale, tenendo conto degli impegni di spesa, la percentuale dell’impegno italiano sale dal 37% al 58,8%, ma la media europea è dell′85 per cento. Sommati ai numeri iniziali si arriva alla conclusione che l’Italia è il secondo Paese beneficiario per soldi ottenuti, al primo posto c’è la Polonia che per inciso è fortemente critico nei confronti dell’Istituzione europea, ma la vera tra gli ultimi per progetti realizzati.

L’Italia ha portato avanti negli ultimi sei anni e mezzo progetti in vari ambiti, ma molto poco nella digitalizzazione del Paese, tanto è vero che se si prendono in considerazione i dati dell’Obiettivo tematico 2 “Agenda Digitale”: su 22.215 progetti presentati, solo 11.328 sono arrivati a conclusione, spendendo appena 495 milioni su 3,3 miliardi, ossia il 15% delle risorse stanziate.

Mentre, i progetti ancora in corso sono circa 7.797, per la somma di circa 2,5 miliardi, che sarebbe 40% di questi ultimi progetti, avviati solamente nel 2019, a un anno dalla conclusione della programmazione 2014-2020.
Ed infine, ci sono i progetti non ancora avviati, che ammontano a circa 230 milioni.

Pertanto, il Recovery Fund che rappresenta una grande risorsa e speranza, ripropone questioni molto simili, ovvero la capacità di realizzare attuare i progetti, senza che si lascino per strada le enormi quantità di finanziamenti, ma in una dimensione molto più ampia.

Non è da sottovalutare lo status quo in cui si inseriscono menzionati finanziamenti, in quanto l’emergenza sanitaria per il Covid ritorna fortemente come problema, a seguito dell’aumentare dei contagi e il sistema economico è estremamente in difficoltà, questi si aggiungono ai preesistenti problemi sistemici, determinando un ulteriore difficoltà per la programmazione, rendendo necessaria l’approdo ad una spesa puntuale dei fondi europei stanziati.

Il virus ha imposto come priorità nell’agenda politica la trasformazione digitale del Paese, tanto è vero che si è avuto un boom dello smart working, solo per fare un esempio. E non a caso una grossa fetta dei 209 miliardi del Recovery è legata a progetti che hanno a che fare con il digitale.

Tra l’altro Desi (Digital economy and society index), l’indice che la Commissione europea ha realizzato per monitorare lo status della digitalizzazione nei vari Paesi, colloca l’Italia al 25esimo posto tra i 28 Paesi dell’Unione europea.
Ebbene, oggi si stanno vivendo due crisi parallele, da un lato quella sanitaria che sta colpendo non solo il nostro Paese ma buona parte degli Stati, nonostante il sistema sanitario nazionale ha dimostrato grande capacità di contenimento a differenza di altri Paese.

Dall’altro lato, il nostro Paese vive una difficoltà maggiore di quella sanitaria, paradossalmente, che è quella della modernizzazione del Paese dal punto di vista infrastrutturale fisica e digitale, purtroppo sta emergendo il grave gap di programmazione, progettazione e visione che è mancato negli ultimi 30 anni alla classe dirigente del Paese.
Pensare di recuperare agevolmente in pochi mesi o anni questo ritardo, significare non comprendere la questione.
In questo scenario noi giovani che pensiamo di fare? Rivendicare e criticare le mancanze della classe dirigente presente, oppure è giunto il momento di spronare con idee e forza di volontà la classe dirigente, concretamente, nei vari ambiti della società, al fine di provare a migliorare lo status quo.

È difficile capire cosa accadrà e come andrà a finire, ma sicuramente questa vicenda che stiamo vivendo la ritroveremo sui libri di storia e a seconda della capacità di cittadinanza attiva e sano protagonismo che avranno i consociati, muterà il finale.

di Carlo Conte