La casa dell’angelo: cinque artisti per Ugo Marano
17 Ottobre 2020Da pochissimi giorni si è conclusa la mostra temporanea “La casa dell’angelo: cinque artisti per Ugo Marano” accolta nella suggestiva cornice dell’Eremo del Santo Spirito a Pellezzano.
La mostra si articolava nell’esposizione di diverse opere composte ad hoc per l’evento da cinque giovani artisti locali, tutti con l’intento di celebrare la memoria e l’arte dello scultore e disegnatore Ugo Marano scomparso nel 2011. Non conoscevo questo artista del nostro territorio che ha trascorso la vita nella sua casa di Cetara e ha trasmesso i suoi insegnamenti attraverso le sue mani, eppure, vedendo la mostra, ho avuto la sensazione che fino a quel momento mi fosse mancato un pezzo importante.
Un uomo semplice, con i capelli bianchi e la barba incolta, un uomo che ha lasciato traccia delle sue idee attraverso i suoi vasi di ceramica rossa e nera, alti, molto alti, tanto da arrivare anche a tre metri che utilizzava anche come strumento musicale facendoli suonare. Marano esprimeva la sua arte dando vita agli oggetti che costruiva, prima li pensava, poi li disegnava ed infine li modellava, sculture, quadri, schizzi, vasi in ceramica, piatti. Ogni oggetto racchiude un’idea, esprime un pensiero e così una sedia in legno che ha dentro intarsiata un’onda del mare diventa “Il dio degli abissi”. Il suo tratto è facilmente riconoscibile poiché disegnava senza mai staccare la matita dal foglio, un’unica linea che creava diverse forme e diversi volumi, tutti uniti tra di loro: dall’essenziale nasce la vita, la pienezza, la bellezza.
Le sue sculture, o meglio le sue opere sono tutte costruite con oggetti semplici, principalmente legno e metallo, come ha fatto per La tavola del miliardario triste” in cui un uomo e una donna seduti alla stessa tavola sono ormai troppo distanti tra loro e dalla tavola stessa che li divide ma li tiene comunque legati. L’intera opera è ricavata da sottilissimi tubi di metallo che mantengono la loro stabilità grazie al piccolo tavolo in legno centrale. Il metallo freddo e scarno sembra rappresentare i loro scheletri e lo spettro di quello che un tempo li teneva uniti, eppure se ormai completamente vuoti di ogni moto emotivo, il miliardario e la moglie rimangono lì, attaccati a quella tavola che un tempo accoglieva i momenti di vita calda e conviviale ma che adesso rimane solo una tavola di legno.
Oltre alle opere di Marano, l’eremo del Santo Spirito, accoglieva le opere di Paolo Bini, Federica D’ambrosio, Ivano Troisi, Christian Leperino e Antonio Buonfiglio, artisti che rendono pregio al nostro territorio grazie alle loro idee e alla loro arte.
Ognuno di loro ha raccontato qualcosa su Marano attraverso la propria arte, come ha fatto Paolo Bini con la sua opera “Il mare in tondo”. In una piccola stanza con le pareti alte, incorniciato da un arco c’era un cerchio con colori che dal basso sono forti e accesi e tendono a sfumare man mano che lo sguardo sale, un cerchio che sembra un’alba, un tramonto, un cerchio che racchiude la terra e il cielo, un cerchio in cui c’è il nostro mare pieno di vita e di vite, un oblò che racconta il mondo che viviamo ricco di colori e sfumature ma che ha bisogno di essere scoperto, rivelato, per questo le strisce di colore sono alternate a sottili strisce bianche che sono state strappate e lasciate cadere a terra poiché, come Marano avrebbe suggerito, l’arte va liberata, va espressa, va toccata, l’arte va vissuta.
Non a caso l’artista di Pontecagnano Ivano Troisi con la sua opera “La macchina del riverbero” concede al visitatore la possibilità di divenire protagonista dell’opera stessa, senza che nemmeno se ne accorga. Entrando in una stanza dell’eremo che prima era una cisterna, ci si ritrova a camminare su una grata di ferro che funge da ponticello su uno strato di acqua, camminandoci sopra, le grate producono delle vibrazioni sull’acqua le cui ombre circolari ed infinite si rifrangono sulle pareti ricurve. Un piccolo tempio della meditazione, un luogo senza tempo in cui poter godere della bellezza della natura e della potenzialità che noi esseri umani abbiamo ogni volta che ne veniamo a contatto, un luogo di forza e pace che racconta quanto sia raro riuscirsi a meravigliare per la semplicità delle cose e ci ricorda che a volte il “poco” è tutto quello che ci serve per essere felici.