Smart working e digitalizzazione possono valorizzare borghi antichi e Aree Interne?
8 Ottobre 2020Negli ultimi mesi, a seguito della pandemia si è sviluppato un dibattito molto interessante, riguardante lo smart working dal momento che si sono messi in evidenza i vari aspetti positivi e negativi di suddetta modalità di lavoro, che anche questo magazine ha analizzato.
Ma l’interrogativo che si pone è il seguente: lo smart working può essere un volano per la valorizzazione dei borghi antichi?
Già nel 2014 l’architetto Renzo Piano in un articolo su Il Sole 24 Ore sosteneva fortemente un ritorno alle periferie , affermando testualmente: “ Le periferie sono la città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio, ma ricche di umanità e quindi il destino delle città sono le periferie. Nel centro storico abita solo il 10 per cento della popolazione urbana, il resto sta in questi quartieri che sfumano verso la campagna. Qui si trova l’energia.
I centri storici ce li hanno consegnati i nostri antenati, la nostra generazione ha fatto un po’ di disastri, ma i giovani sono quelli che devono salvare le periferie. Spesso alla parola «periferia» si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni.”
Ebbene, si è aperto un grande dibattito, in particolare a Milano, sul futuro delle città a seguito del lockdown, smart working e tele-lavoro, in quanto si potrebbero prevedere lo sviluppo delle periferie a discapito dei grandi centri urbani. Tanto è vero che, Robin Harding in un articolo sul Financial Times sostiene che è esagerato affermare la morte delle grandi città a seguito dell’emergenza pandemica, in quanto lavorare in una grande città, sostiene Harding, fa crescere la produttività e, di conseguenza, gli stipendi di chi ci lavora, ma anche gli affitti e il costo della vita, così da favorire migliori relazioni fra domanda e offerta di lavoro e fra imprese e clienti.
In più, un recente studio di David Atkin, Keith Chen e Anton Popov utilizzando i dati di geolocalizzazione dei cellulari mostra come l’incrociarsi casuale dei lavoratori della Silicon Valley porti a un maggior numero di brevetti delle loro aziende”. Non è soltanto una questione di lavoro, aggiunge Harding: “per l’istruzione, la medicina e persino per le storie d’amore, l’offerta è maggiore in una grande città. Lo stesso vale per l’offerta culturale: cinema, teatri, arte, ristoranti”.
A questa visione si contrappone, invece, una possibilità concreta di uno sviluppo differente della comunità, dal momento che come già affermava Renzo Piano vi è già un processo di ritorno alle periferie, che permette al cittadino una migliore condizione di vita.
Difatti, l’emergenza pandemica con il lockdown e lo smart working ha dimostrato come sia possibile un cambio di paradigma economico e sociale, ma è fondamentale porre in essere un politica visionaria e con un’idea ben precisa di società.
Lo smart working potrebbe essere il volano del nuovo paradigma sociale, qualora venissero posti i limiti legislativi opportuni, a questo devono essere realizzati gli investimenti infrastrutturali fisici e digitali, al fine di permettere un ripopolamento delle aree interne.
Va segnalata la riflessione di Edoardo Campanella, professore all’Università di Madrid e Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo, i quali sostengono un futuro possibile nelle Aree Interne: “Cambiano le gerarchie urbane, ma le città non moriranno”. Si stanno modificando gli equilibri tra centro e periferia, con un processo di cambiamento accelerato da pandemia, lock down e lavoro a distanza, ma “il virtuale non è ancora un perfetto sostituto del reale”.
Per facilitare la transizione, “è necessario costruire infrastrutture digitali adeguate nelle aree periferiche, fornire crediti di imposta per i trasferimenti di residenza e ampliare gli incentivi per lo smart working. L’Europa, dove città con secoli di storia sono spopolate, potrebbe vedere la rinascita di alcune delle sue regioni a più alto potenziale. E in Italia si tornerebbe verso un modello di sviluppo policentrico, più bilanciato di quello attuale”.
Pertanto, può sembrare un dibattito molto lontano dalle nostre realtà, in quanto si realizza nelle “capitali economiche europee”, ma invece dovrebbe interessarci più di quanto si pensi, poiché potrebbe favorire un nuovo sviluppo, basato sulla valorizzazione delle nostre Aree Interne, per fare ciò serve un dibattito politico, professionale e sociale molto elevato e lungimirante. La sfida del Recovery Fund e il suo dibattito non può e non deve essere lontano dai territori e dai consociati, in quanto è lapalissiano che nei prossimi mesi ed anni è in gioco il presente e il futuro del nostro Paese, in ambito di digitalizzazione, infrastrutture fisiche e digitali, ambiente, agricoltura. Insomma è una sfida troppo grande ed importante da non poter perdere, ma sia i cittadini che la classe dirigente ( università, scuola, ordini professionali, sindacati, imprenditori e politici) ne saranno all’altezza?
Di Carlo Conte