Lavoro, al Sud disoccupazione femminile ancora a due cifre

Lavoro, al Sud disoccupazione femminile ancora a due cifre

5 Ottobre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Nonostante le misure di politica attiva del attuate per il lavoro negli ultimi anni sembra che l’Italia non sia un Paese per donne che lavorano. Secondo i dati pubblicati dal Censis a novembre 2019 l’Italia è tra le ultime nazioni in Europa (seconda solo alla Grecia) per occupazione femminile. Limitando lo sguardo solo alla nostra Penisola, invece, i dati Istat mostrano come l’occupazione femminile sia molto più bassa di quella maschile (56,1% contro 76,8%) e che i tassi più alti di disoccupazione femminile sono nel Mezzogiorno con una percentuale del 19,7% contro il 7,5% del nord e il 9,6% del centro.

Gender gap

Questi dati possono essere letti in termini di incapacità di conciliare i tempi del lavoro con quelli della vita familiare. Nel Sud, infatti, 1 donna su 5 che ha avuto un figlio non ha mai lavorato e ben 37 mila donne del nostro Paese nel 2019 (dati dell’Ispettorato del Lavoro) hanno deciso di dimettersi. Secondo l’Istat, sono quasi sempre le madri (il 38,3 % contro l’11,9% dei padri) che decidono di sacrificare la propria realizzazione professionale per la famiglia, riducendo le ore di lavoro o addirittura abbandonandolo. Si tratta di dati che potrebbero rafforzarsi se la didattica a distanza dovesse continuare, infatti, è stato stimato, secondo uno studio dell’Università Bicocca, che il 30% delle mamme potrebbe abbandonare il lavoro per poter seguire i figli a casa.

La situazione non è migliore per le donne senza figli in quanto nella fascia di età tra i 20 e 49 anni lavorano solo nel 62,4% dei casi, contro una media europea del 77,2%. Ciò è imputabile anche alle condizioni di lavoro che consentono più difficilmente alle donne di ricoprire cariche manageriali.. Le donne manager in Italia, infatti,  secondo il Censis, sono solo il 27% dei dirigenti, valore molto al di sotto di quello europeo (33,9%). Non solo le donne non ricoprono posizioni apicali, ma quando lavorano spesso svolgono mansioni per cui sarebbe sufficiente un titolo più basso. Dai risultati di varie ricerche si evince che la quota di laureate è maggiore rispetto a quella maschile. A questo si aggiunge il fatto che le donne guadagnino meno rispetto a un uomo che ricopre lo stesso incarico, questa condizione però riguarda un po’ tutta Europa. Insomma, le donne nel nostro Paese studiano più degli uomini e ottengono risultati scolastici migliori tuttavia lavorano meno e sono meno retribuite.

Cosa non funziona?

La disoccupazione femminile sembra seguire geograficamente la scarsa offerta di servizi socio-educativi. Al Nord, infatti, i posti disponibili dei servizi educativi coprono il 33% dei potenziali utenti mentre nel Mezzogiorno si è molto al di sotto della media nazionale, in Campania il dato più basso: meno di 9 bambini su 100 possono avere accesso al servizio. Il problema alla partecipazione è anche il costo, perciò a decorrere dal 2017 è stata istituita l’erogazione di un buono di 1000 euro, portato a 1500 nel 2019, a copertura delle spese sostenute per asili nido pubblici o privati o per assistenza domiciliare per bambini affetti da gravi patologie. Tale misura non ha avuto ampia diffusione, inoltre, per le famiglie che risiedono in comuni dove non sono presenti servizi all’infanzia risulta inutile.

La scarsità di risorse, l’assenza di politiche per la maternità,  l’idea che a sacrificarsi debba essere per forza la donna fanno si che nella lotta per il lavoro, le donne, siano ancora perdenti.

Quali possibilità?

La tecnologia, in questo caso, può venirci in soccorso, lo smartworking può essere un’opportunità, per le aziende che possono risparmiare sui costi fissi degli uffici e per le donne lavoratrici che non devono, così, rinunciare alla carriera. È importante, inoltre, ampliare le politiche di welfare a sostegno delle famiglie, incentivare i  servizi per l’infanzia rendendo più snella la burocrazia e velocizzando il passaggio dei fondi.