E-commerce, a che punto siamo in Italia?

E-commerce, a che punto siamo in Italia?

2 Luglio 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Le origini dell’e-commerce risalgono agli anni ’70, quando nacque l’EDI (Electronic Data Interchange), sistema che permetteva il trasferimento di informazioni e documenti commerciali in formato elettronico. Creato dalle imprese di trasporto, l’EDI divenne molto importante nelle industrie in cui circolavano volumi elevati di scorte. Ai tempi della nascita dell’EDI, Internet non esisteva, e il sistema era supportato da reti di telecomunicazione private e sicure. Per questo motivo e a causa della diversità dei database degli utenti che si collegavano, il sistema era molto costoso e quindi poco utilizzato. Inoltre, l’EDI non permetteva l’interattività che è in grado di offrire Internet, non c’era possibilità di discutere e di trattare i prezzi delle merci. Nei primi anni Novanta la storia dell’e-commerce incontrò la storia di Internet. Infatti, gli Stati Uniti abolirono il divieto dell’uso commerciale di Internet. Nel 1994 Netscape lanciò il primo browser dotato di protocollo crittografico Secure Socket Layer (SSL), in grado di supportare transazioni online sicure. I primi siti di e-commerce, cioè siti che permettono l’acquisto in rete, fecero la loro comparsa nel Web fra 1994 e 1995 grazie ad una concomitanza di cause: la disponibilità di provider di servizi web, l’uso di browser grafici e i motori di ricerca. La storia dell’e-commerce fra la fine degli anni ’90 e il 2000 è una storia di tentativi, sconfitte e successi in un contesto che si può definire di ‘moda dell’e-commerce’. Nel 1999 molte aziende si tuffarono nell’avventura online, aprendo siti di e-commerce senza esperienza alle spalle, nel tentativo di ottenere successo il più velocemente possibile. Un anno dopo però molte aziende operanti nell’e-commerce chiusero i battenti per mancanza di profitti. Il 2000 è considerato l’anno della sconfitta: sembra che l’e-commerce sia già morto prima di nascere. Dopo avere raggiunto il picco massimo il 10 marzo 2000 (5.133), il Composite Index NASDAQ perse il 34,2% da quel momento al 14 aprile. Solo le società che compresero il potenziale delle vendite online (come Dell Computers e Cisco) riuscirono a farsi strada. La storia dell’e-commerce non finì. Sempre più persone avevano accesso a Internet e ciò rese possibili transazioni online su larga scala. Considerata la crescita del settore commerciale online, nel 2004 viene fondata la Payment Card Industry Security Standards Council (PCI) al fine di creare degli standard di sicurezza. Gli smartphone e i social hanno avuto influenza notevole nella storia dell’e-commerce. Nei dieci anni del 2000 gli smartphone si diffusero notevolmente, e ciò portò a cambiamenti nel modo in cui l’e-commerce operava. Google nel 2015 introdusse un algoritmo che influì notevolmente sulla storia dell’e-commerce, poiché dava maggiore preferenza ai siti adatti alla navigazione da mobile. Si diffuse il Mobile commerce, indicato anche come M-Commerce. Anche i Social Media cambiarono le abitudini di acquisto online, creando nuove possibilità di interazione.

In Italia quando si è sviluppato l’e-commerce?

Il primo acquisto online in Italia risale al 3 giugno 1998. Dagli anni 2000 in poi le abitudini di consumo degli italiani sono cambiate ed ora il commercio elettronico recita la parte del leone. Quando si tratta di fare acquisti soprattutto in periodo di saldi e prima di Natale, ma non solo sempre più persone scelgono la strada del web. Secondo le ultime stime Istat, nel 2019 le vendite online hanno registrato in Italia un’impennata del 18,4% su base annua, in accelerazione rispetto ai dati del 2018 (+12,1%) e del 2017 (+14,7%). Un risultato clamoroso, soprattutto se confrontato con l’andamento generale delle vendite al dettaglio, che l’anno scorso sono cresciute soltanto dello 0,8%. Ancora più sorprendente è il dato relativo al solo mese di dicembre, quando il commercio elettronico italiano ha fatto segnare un balzo addirittura del 38,3%, a fronte del +0,9% dei consumi generali. Dalle tabelle dell’Istat emerge che il secondo mese più positivo per il commercio elettronico è stato settembre (+26,3%), che a sorpresa ha registrato un dato migliore rispetto a luglio (+23,4%) seguono poi agosto (+19,5%), febbraio (+17,8%), aprile (+17,1%) e ottobre (+16,6%). In fondo alla graduatoria c’è novembre, mese in cui la crescita degli acquisti su internet è stata molto contenuta (+3,9%), nonostante i grandi volumi registrati in occasione del Black Friday. Fra il 2015 e il 2019, nel nostro Paese il valore del commercio elettronico è cresciuto del 61,8%. Un fattore che influisce sull’e-commerce è il metodo di pagamento poiché difficilmente, infatti, chi non accetta pagamento a contrassegno, potrà attirare potenziali clienti privi di carta di credito o PostePay. Al contrario, coloro che possiedono una PostePay e lo ritengono il metodo migliore per pagare online, non potranno acquistare in un’azienda che non prevede questo mezzo. È per questo che, anche in questo caso, è necessario prestare attenzione alle statistiche: i dati emersi dallo studio di Casaleggio ci rivelano che il 13% di coloro che abbandonano il carrello lo fanno perché non è disponibile un’opzione di pagamento locale. Qual è il metodo di pagamento preferito dai consumatori italiani? Le aziende online sostengono che il 26% degli e-shopper paghino mediante carta di credito; questo metodo è seguito dai digital wallet, per esempio PayPal (22%), e dal bonifico (21%). Vi é il pagamento alla consegna (19%) e il pagamento via smartphone (9%). L’Italia, nel campo degli acquisti da dispositivi mobili (tablet e smartphone) si rivela uno dei Paesi europei più avanzati, addirittura al di sopra delle medie mondiali. Infatti, nel corso del 2018, il 58% dei consumatori di tutto il mondo ha effettuato almeno un acquisto da mobile. In Europa, questo dato si è invece assestato al 60%. In Italia, sorprendentemente, questo numero è salito all’85%: in pratica, gli acquirenti e-commerce italiani prediligono l’utilizzo dello smartphone nel momento in cui devono comprare qualcosa online. Ciononostante, l’impatto del mobile sul fatturato rimane ancora abbastanza basso: ciò potrebbe essere dovuto al fatto che l’utente prediliga compiere acquisti di valore ancora da desktop. L’analisi dell’E-commerce Report 2019 realizzata a livello globale dall’E-commerce Foundation ha dimostrato che in Italia lo shopping online sta crescendo rispetto agli altri canali di vendita; trasformandosi in un’opportunità per tutta la filiera produttiva. In particolare, nel 2019 il giro di affari generato dal commercio online dovrebbe toccare i 35,65 miliardi di euro, crescendo del 30% rispetto al 2018 e del 140% rispetto al 2015; cifra che, nel 2022, potrebbe raggiungere i 6.500 miliardi di euro. l 37% della popolazione italiana presente online, ha dichiarato di aver effettuato nell’ultimo anno almeno un acquisto sul web, utilizzando il pc come strumento privilegiato per la navigazione. Il 55% degli utenti, infatti, preferisce ancora il computer a smartphone e tablet, quando si tratta di transazioni economiche.
Secondo il Global Retail Study, commissionato a Ipsos da Google, per analizzare il percorso di acquisto online e offline in Italia e nel mondo, risulta che ben il 96% dei consumatori italiani abbia fatto ricorso al web in una o più fasi di acquisto.

Gli italiani si rivolgono ad internet anche per acquisire informazioni su prodotti, punti vendita e per confrontare le offerte. In più, i dati dimostrano che gli italiani, non solo usano internet per trovare un prodotto (il 46%), o un nuovo brand (il 49%), ma anche per consultare le recensioni e per verificare la disponibilità di un prodotto, prima di recarsi fisicamente in negozio. Gli utenti che hanno maggiore confidenza con l’e-commerce sono quelli in età compresa tra i 25 e i 54 anni; seguiti inaspettatamente dagli over 65 che si rivolgono allo shopping online più dei giovani tra i 15 e i 24 anni d’età. Un motivo che può portare il consumatore ad allontanarsi dall’e-commerce sono le recensioni negative sui Social Network (59%) o su portali appositi (62%). Ed anche i commenti negativi sulle testate giornalistiche online (23%) o offline (8%) o all’interno di servizi televisivi locali (9%) contribuiscono ad indebolire l’immagine aziendale.

di Emanuela Di Rauso