Novantasei anni fa il delitto Matteotti

Novantasei anni fa il delitto Matteotti

10 Giugno 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Abbiamo recentemente ricordato il 2 giugno, data in cui si celebra la nascita della Repubblica italiana a seguito della prima votazione a suffragio universale. Oggi, partendo da un’altra elezione, rimembriamo un violento episodio del Ventennio: il delitto Matteotti.

Era il 6 aprile 1924, e nel Regno d’Italia si votò per l’elezione dei membri della Camera dei deputati. Si votava sulla base della “legge Acerbo” (più precisamente la legge 18 novembre 1923, n. 2444), che prevedeva l’assegnazione dei 2/3 dei seggi al partito più votato (e che avesse superato il quorum del 25%). Una legge che quindi, considerando il comune sentire del periodo storico, che mirava all’assoluto controllo del Parlamento da parte del Partito Nazionale Fascista, presentatosi alle elezioni alla guida della Lista Nazionale (“Listone”). Di fatti, il partito prese il 64,9% dei voti, seguito dal Partito popolare italiano (9,1%), dal Partito socialista unitario (5,9%), Partito socialista italiano (4,9%), Partito comunista d’italia (3,8%) e altri partiti minori. La formula della legge Acerbo si dimostrò addirittura superflua data la valanga di consensi di cui godette il PNF, al quale alla fine andarono 374 dei 533 seggi a disposizione.
Arriviamo al 30 maggio 1924, quando all’apertura della nuova Camera, il leader del PSU Giacomo Matteotti tuonò una dura requisitoria contro Benito Mussolini, affermando «L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso – come ha dichiarato replicatamente – avrebbe mantenuto il potere con la forza» proseguendo con «Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c’era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso».

Queste (e altre) parole, il 10 giugno 1924, novantasei anni fa, gli costarono la vita. Venne rapito alle 16:30 e ucciso a coltellate da un gruppo di uomini della polizia segreta fascista. Il suo cadavere, abbandonato in una macchina a pochi chilometri dalla capitale, poi lanciata a tutta velocità verso ponte Milvio, fu trovato solo due mesi dopo. Si discute anche una tesi secondo cui il deputato l’11 giugno, avrebbe voluto denunciare gravi casi di corruzione di cui si sarebbero resi responsabili Mussolini e alcuni gerarchi del partito. Tesi che trae spunto da un articolo postumo di Matteotti pubblicato dalla rivista britannica English Life, in cui il socialista affermava di essere a conoscenza di molte gravi irregolarità sull’affare Sinclair, condotto tra «ignobile corruzione» e «vergognoso peculato».

Il cadavere fu rinvenuto il 16 agosto in via Flaminia, in località Quartarella, in una fossa scavata in una fitta boscaglia. Il 20 agosto le spoglie di Matteotti vennero trasportate via ferrovia a Fratta Polesine, accompagnate lungo il tragitto da un toccante e massiccio tributo popolare. Infatti, nonostante il vasto consenso di cui godeva il PNF, l’opinione pubblica fu profondamente scossa. La politica antifascista reagì con la «secessione dell’Aventino», astenendosi cioè dai lavori parlamentari, auspicando un intervento della Corona o uno sfaldamento del partito di Benito Mussolini. Nessuna delle due cose accadde, e la «protesta morale» ebbe come unico effetto quello di dare tempo alla maggioranza di risolvere i suoi dissidi interni e averle lasciato politicamente campo libero per procedere con un inasprimento del regime, divenuto vera e propria dittatura. Il 3 gennaio 1925, Mussolini alla Camera minacciò infatti l’uso della forza bruta per chiudere la «questione morale», affermando minacciosamente «Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. […] Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere».

Si spense così ogni flebile luce di democrazia. Ricordiamocelo quando, in questo periodo storico, si abusa della parola dittatura.

Matteotti era consapevole di quanto gli sarebbe costato quel discorso. Arrivò infatti ad affermare «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». Forse però, quest’esempio può insegnare a tutti noi a guardare la realtà in faccia, pur sapendo che probabilmente, come scrisse Leopardi, non si «odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina». Ma qualcuno dovrà pur nominarlo.

Di Francesco Mazzariello