Coronavirus, il report Svimez: “Shock senza precedenti”

Coronavirus, il report Svimez: “Shock senza precedenti”

21 Aprile 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

«Il lockdown costa 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. Considerando
una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe
del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno».

È quanto si legge nel report Svimez pubblicato nei giorni scorsi.

Dal report emerge che:
1) l’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici “uniscono” il Paese

2) il Sud rischia di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centro-Nord nella fase della ripresa, perché sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto.

3) Occorre completare il pacchetto di interventi per compensare gli effetti della crisi sui soggetti più deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio povertà e microimprese.

Uno shock esogeno senza precedenti per il Nord e per il Sud

La società e l’economia italiane sono attraversate dalla più grave crisi della storia
repubblicana. Del tutto inattesa, di natura esogena, dai tempi di propagazione più rapidi
tra mercati e paesi, dagli impatti sui livelli di attività economica e sul lavoro più
profondi, più concentrati nel tempo e più pervasivi tra settori e territori rispetto
all’ultima grande crisi avviatasi a fine 2008. Un inedito shock congiunto di domanda e
offerta sta producendo impatti sociali ed economici che “uniscono” Nord e Sud del
paese. L’emergenza sanitaria dunque colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed
economici tendono a propagarsi in maniera più uniforme sul territorio.

 

Il lockdown “costa” circa 47 miliardi al mese, 37 “persi” al Centro-Nord, 10 al Sud

La straordinarietà della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti
“fermi”: la SVIMEZ ne stima più di 5 su 10 in Italia. Nella media nazionale, senza
considerare i settori dell’Agricoltura, le Attività finanziarie e assicurative e la Pubblica
Amministrazione, crollano del 50% fatturato, valore aggiunto e occupazione. Il blocco
colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l’industria, le
costruzioni, i servizi, il commercio. A livello territoriale, sono più interessate le regioni
del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in
più rispetto al Centro e al Mezzogiorno). In termini di occupati interessati la forbice si
annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno. In
termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore
parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate
dal lockdown raggiungono il 59,2% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel
Centro e nel Nord. La SVIMEZ stima che un mese di lockdown “costa” 47 miliardi di
euro (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali “persi” al Nord, 10 nel Mezzogiorno. Si tratta
di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473
al Sud.

L’impatto del lockdown sull’occupazione: autonomi e partite iva a rischio

Se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono
interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli
indipendenti. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel
Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di
aziende di maggiore dimensione e solidità. La struttura più fragile e parcellizzata
dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli
occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Centro e del Nord). Sono “fermi”
circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre
500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi
e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi
700 mila nel Mezzogiorno. Le perdite di fatturato e reddito lordo operativo di autonomi
e partite iva sono piuttosto uniformi a livello territoriale. La perdita complessiva di
fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord,
5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. Una distribuzione territoriale simile si osserva per
le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900
milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di
inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito lordo di circa 2 mila euro, 1900 e 1800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree.

Il d.l. “cura Italia”: l’obiettivo di non lasciare nessuno indietro. I lavoratori autonomi compensati solo per il 30% delle perdite

La distribuzione territoriale, al netto dei consumi collettivi (nei quali è ricompresa la
spesa sanitaria), prevede una distribuzione, rispetto alla popolazione residente nelle due
ripartizioni, più favorevole al Centro-Nord, come è logico data la diversa intensità
assunta dall’epidemia nelle diverse aree. Il “cura Italia” sviluppa un intervento
essenzialmente di maggior spesa corrente pari a 1,2 punti di Pil, meno della metà della
stima SVIMEZ dell’impatto di un mese di lockdown in termini di perdita di Pil. Il
provvedimento esplica maggiori effetti al Sud in rapporto al Pil (1,4% contro l’1,2% nel
Centro-Nord), mentre in termini pro capite si concentra maggiormente al Centro-Nord
(372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno). Il Centro-Nord ne risulta
“compensato” per il 40% della perdita subita, il Sud per il 50%.
La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile
assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con
impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area.
Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10
milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni. Rimangono privi di tutela circa 1,8
lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600
mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato
in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord). Si
tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla
disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di
Cittadinanza. Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari
(1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) è possibile stimare circa 800 mila
disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente
non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati
prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord).
La compensazione statale di 600 euro prevista dal “Cura Italia” per i lavoratori autonomi
copre “solo” il 30% della perdita di reddito lordo mensile di 2 mila euro in media
nazionale stimata dalla SVIMEZ.

Le previsioni sul Pil per il 2020

La SVIMEZ stima un calo del Pil del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del –
7,9% nel Mezzogiorno. Si tratta di una previsione che considera il solo impatto del “cura
Italia”. Ulteriori interventi espansivi potrebbero attenuare la dinamica recessiva. Il
profilo trimestrale 2020 evidenzia un impatto più rilevante nel primo semestre nelle
regioni del Centro-Nord epicentro della crisi sanitaria. Il rimbalzo positivo, invece, che
ci si attende con il venir meno del lockdown appare più intenso nelle regioni del CentroNord. Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase già tendenzialmente recessiva, prima
ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali
rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).

Il rischio di default è maggiore per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno

 

I tempi incerti del lockdown e l’incertezza che investe tempi e modalità delle riaperture minano
le prospettive di tenuta della capacità produttiva. I dati territoriali sul blocco delle
attività economiche delineano un quadro assai più problematico dell’ultima crisi. Il
blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non
hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato
dall’ultima crisi. Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi
lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione
improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a
sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione. Un’urgenza che si è tradotta
nel d.l. liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Sulla base dei dati di
bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000
euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo
dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese
meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.