Stato di diritto in quarantena? “La libertà non deve avere accenti o dialetti”
20 Aprile 2020Pochi avrebbero potuto immaginare che, a pochi mesi dall’inizio di un nuovo decennio, ci saremmo trovati ad affrontare una crisi sanitaria inedita di portata mondiale. Ancor meno di quelli, pochissimi avrebbero potuto prevedere che, in soli due mesi, sarebbe stato messo in discussione il concetto stesso di libertà personale, comprimendola per poter arginare una minaccia epidemiologica che rischia seriamente di far annoverare tra gli effetti collaterali gravi “patologie” economico-sociali dai tratti irreversibili. In questa enorme situazione di incertezza è facile constatare che le norme regolatrici del mondo ante-covid anche in Italia sono state reinterpretate, in maniera più o meno arbitraria.
A parere di illustri giuristi, le frenetiche attività del Governo che aveva proclamato lo stato d’emergenza il 31 gennaio scorso, salvo poi intervenire più marcatamente tra fine febbraio e inizio marzo, rivendicano in sé stesse l’attribuzione di pieni poteri che la nostra Magna Charta riconosce e ritiene legittimi solo in caso di guerra. Questa situazione, benché sostanzialmente anche peggiore di un evento bellico, evento bellico non è, almeno formalmente. Gli artt. 13 e 16 della Costituzione disciplinano e subordinano tutti gli aspetti delle libertà personali alla legge, non quindi agli atti amministrativi come i famosi DPCM, ai quali comunque sarebbe stato opportuno preferire i Decreti del Presidente della Repubblica.
IL POTERE (ECCESSIVO) DELLE REGIONI
La questione di una corretta attribuzione dei poteri in caso di fenomeni storici eccezionali fu’ affrontata a suo tempo già dal Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, oggi viene affrontata con costanza e vigore dal Prof. Sabino Cassese che pone il principio della liceità degli atti anche in tempi di emergenza. Da operatore del diritto ritengo di poter dire che c’è un problema di fondo derivante dal mancato coinvolgimento del Parlamento, anche se, pur comprendendo le ragioni d’urgenza che hanno fatto prediligere l’adozione di uno strumento più duttile com’è quello del D.P.C.M. (atto amministrativo) mi risulta difficile riscontrare l’opportunità delle continue, veloci modifiche e relative costanti rendicontazioni, ex post, al Parlamento (chiuso o quasi a sua volta). Le garanzie costituzionali e democratiche sono state sospese, come sospese sono state le nostre vite nell’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia, e che ha evidenziato, su certi temi, il problema di una eccessiva autonomia alle regioni affidata ai personalismi di soggetti che, forse a causa della premura e paura che hanno generato alcune loro scelte, non hanno fatto ben comprendere l’effettivo grado di maturità democratica ed istituzionale applicato, poiché certe determinazioni in merito contribuiscono a creare allarmismi o a restringere inutilmente ed ingiustificatamente i nostri diritti fondamentali.
Proprio su quest’ultimo aspetto credo, non si possa negare, che ci troviamo innanzi ad una situazione di profilassi internazionale disciplinata dall’art. 117 lett. q) Cost. , per cui le relative scelte debbono essere prese esclusivamente dallo Stato centrale ed avere portata generale, non particolare. Facendo quindi una breve parentesi extraeuropea, e con le dovute proporzioni, si nota come quei Paesi centralizzati, vedesi Corea del sud, abbiano meglio gestito l’epidemia rispetto ai Paesi federati come gli Stati uniti d’America. I cittadini Lombardi e Veneti piuttosto che i cittadini Campani e Pugliesi, debbono essere destinatari della stessa norma eccezionale a loro salvaguardia, almeno questo è quello che mi hanno insegnato accada nelle repubbliche parlamentari come la nostra.Ovviamente, al verificarsi di particolari focolai infettivi o situazioni di oggettiva emergenza in alcuni determinati luoghi (zone rosse) ben vengano atti d’urgenza volti a circoscrivere questo infido virus, ma con cognizione, proporzione, logica e buon senso.
ORDINANZE DAL SAPORE PAPALINO
Ci siamo trovati, invece, a fare i conti con le più disparate fantasie amministrative volte a tutelare il diritto universale alla salute in maniera soggettiva e territoriale. I vari Governatori si sono sbizzarriti nell’emanare ordinanze dal sapore papalino, bolle che hanno minato più di qualche mia certezza in materia. Ho visto atti regionali di ordine pubblico contrastanti con decreti ministeriali del Viminale (assurdo!). Va detto che circa i predetti atti, ben si potrebbe parlare di nullità per difetto assoluto di attribuzione, anche se e’ più facile parlare di illegittimità dell’atto. Difronte a queste prove di forza territoriali, anacronistiche e fuori luogo, al cospetto di una emergenza di così vasta portata, lo Stato potrebbe quanto meno valutare di chiedere l’intervento della Corte Costituzionale, a difesa della tutela delle sue prerogative.
Insomma, personalmente riconosco l’importanza dell’autonomia regionale per la migliore gestione di determinate esigenze, ma, sulla situazione attuale credo sia necessaria una visione e una gestione statale del problema e sopratutto della salvaguardia dei diritti di ciascuno. Le libertà fondamentali, le garanzie a noi riconosciute, non hanno e non debbono avere accenti e dialetti. Le regole valgono e vanno rispettate specialmente in periodi di crisi, il linguaggio istituzionale deve essere forma e sostanza proprio nella difficoltà, e se si dovesse arrivare ad adottare misure finalizzate a tracciare lo spostamento delle persone, che lo si faccia compatibilmente e nel rispetto del diritto alla privacy. Mi auspico che dal buio di questa orrenda emergenza possa finalmente nascere l’intenzione nel Legislatore di rivedere e riformare in maniera ponderata le “Regioni” e relative attribuzioni in materia di sanità, ordine pubblico e programmazione economica. Per concludere, lo Stato di diritto non deve essere messo in quarantena, ma deve essere esso stesso il faro, la linea guida principale per servire e gestire la quarantena evitando così di prestare il fianco a schizofreniche disarmonie d’intenti.
di Manuel Gatto