Nord e Sud ai tempi del coronavirus

Nord e Sud ai tempi del coronavirus

17 Aprile 2020 0 Di Arianna Bruno

Il Nord, il Sud e il Covid-19. Nel Paese «troppo lungo» siamo abituati a leggere fatti e misfatti italiani con le solite lenti del dualismo Nord-Sud. Ed in effetti non c’è economia avanzata divisa in due come la nostra. Tante ostinate statistiche ce lo ricordano da decenni. Ne troviamo d’altronde conferma nelle diverse pieghe del deludente tenore di vita che più di due milioni di emigranti meridionali (non viaggiatori…) si sono lasciati alle spalle negli ultimi 20 anni.

Nel bene e nel male, il dualismo Nord-Sud ha segnato la storia repubblicana. Nel bene, nella sua forma «cooperativa», quando una politica lungimirante ne ha saputo cogliere i risvolti propulsivi, valorizzando le complementarietà tra due blocchi geografici e sociali interdipendenti, traghettando per questa via l’Italia al boom economico e il Sud alla riduzione del suo gap. Nel male, da quando il dualismo è degenerato in crescente «conflittualità» mano a mano che si andavano allentando e poi spezzando i fili che tenevano insieme questi due sistemi. E così, mentre altri arrivavano «uniti» alla sfida della globalizzazione, da noi è prevalsa l’idea che solo una parte del Paese potesse reggere la competizione globale. Un’idea sbagliata che ha provocato il nostro macroscopico ritardo: oggi il reddito di un italiano medio è lo stesso del 1999.

La divisione in due del Paese è radicata nella nostra storia. E, fatalmente, ha messo radici anche nei pensieri degli italiani, producendo un campionario infinito di innocui «sfottò», dannosi stereotipi, allegre contabilità e opposte rivendicazioni territoriali. Non stupisce perciò che anche un fatto imprevedibile e straordinario come la diffusione dell’epidemia da Covid-19 sia stato letto con le solite lenti del dualismo ben salde sugli occhi. E siccome abbiamo la memoria corta, ci è venuto naturale pensare che Nord e Sud siano ancora disallineati nei comportamenti, due sistemi a parte, asincroni.

 

Sollievo, conferma e stupore. Tre sentimenti hanno finito per rincorrersi in un circolo vizioso che ha puntellato la logica pigra di chi si è ormai rassegnato all’irreversibile destino di un Paese diviso in due.

Il sollievo. «Fosse successo al Sud, sarebbe stato un disastro» è stata la prima «analisi» che ha accompagnato la notizia dei primi contagi. Per «fortuna» l’emergenza sanitaria ha avuto per epicentro le regioni dai sistemi sanitari più efficienti. La disastrata sanità del Mezzogiorno non avrebbe retto. Molto meglio battersi in trincea nelle ordinate città di provincia del Nord, quelle a più elevato tasso di civismo, che nella promiscua socialità dei disordinati centri urbani del Sud. Un sospiro di sollievo è stato così tirato da tutti, da Nord a Sud.

La conferma. L’esodo di migliaia di studenti e lavoratori meridionali (non viaggiatori…) dalle regioni del Nord ha poi confermato lo scarso civismo dei meridionali. Da qui l’allarme: i meridionali scappano e portano il virus verso Sud dove le carenze della sanità faranno esplodere il contagio.

Lo stupore. Con il passare dei giorni la curva del contagio rimaneva però sorprendentemente piatta al Sud. A quel punto sono arrivati due argomenti a tappare la falla nello schema «Nord contro Sud». Si è detto che l’anomalia lombarda non rendeva credibile il confronto dei contagi tra Nord e Sud. È vero poi che anche i meridionali hanno seguito le regole del distanziamento sociale. Ma se, a differenza del Nord, al Sud avesse contato di più il calcolo individuale che l’altruismo? Non potendo ricorrere alla soluzione «normale» della migrazione sanitaria, forse i cittadini meridionali hanno rispettato le regole per evitare a se stessi, prima che agli altri, la triste sorte di finire nei pessimi ospedali del Sud. Ed ecco riportato il dibattito nei ranghi della semplice contrapposizione Nord-Sud. Tutti hanno tirato, di nuovo, un sospiro di sollievo.

 

Se ne esce solo con un dualismo «cooperativo». Se in molti vedono in questa tragedia un’occasione di cambiamento, dovremmo iniziare a guardare con lenti nuove anche la questione della coesione territoriale e sociale in Italia. Al lungo elenco di mutamenti intervenuti nel ventennio della stagnazione italiana (che già consigliavano questo aggiornamento nei tempi «normali» del pre-Covid-19), si aggiungono, oggi, la crisi economica e l’emergenza sociale innescate dalla pandemia.

Sud e Nord sono arrivati come due malati malconci all’appuntamento con la più grave crisi della storia repubblicana. Il Nord è ancora il motore del Paese, ma di un Paese in declino. Nord e Sud sono distanti, ma in questi anni hanno visto crescere le loro disuguaglianze interne, e questo li rende più «uniti» di fronte a questa nuova crisi. In tutta Italia è cresciuta la distanza tra grandi aree urbane e piccoli centri delle cosiddette aree interne, e si è anche ampliata la forbice tra centri e periferie delle grandi città. Sono queste le disuguaglianze, presenti in tutto il Paese, che rischiano di esplodere con il prolungarsi del lockdown.

La gestione della «fase 1» dovrebbe riconoscere fino in fondo la parzialità della visione del paese diviso in due blocchi monoliti, evitando di rinnovare, anche nella straordinarietà di questa inedita e drammatica situazione, lo schema dello scambio tra Nord produttivo da rilanciare e Sud assistito da compensare. È nell’interesse dell’intero Paese mettere al riparo dal rischio di fallimento sia l’apparato industriale più dinamico del Nord, sia quello più sofferente a Sud. Le analisi territoriali diffuse di recente dalla SVIMEZ evidenziano come gli effetti economici e sociali del lockdown si sono propagati su tutto il territorio nazionale, con punte di particolare disagio concentrate al Sud dove maggiore è la precarietà del lavoro e dove più presenti sono le aree di povertà. Il sistema emergenziale di ammortizzatori sociali introdotto dal «cura Italia» andrà ulteriormente esteso. Occorre dare una risposta «nazionale» rapida, con adeguati strumenti universali di tutela dalla disoccupazione, ai lavoratori ancora non raggiunti dalle misure di sostegno al reddito (1,8 milioni di lavoratori privati dipendenti e circa 1 milione di lavoratori a termine in tutto il paese).

Una medesima strategia «nazionale», basata sulla cooperazione tra territori, dovrà interessare anche la «fase 2» delle riaperture. Perché il tema prioritario da affrontare attiene al «quando» e al «come» riaprire (al Nord come al Sud), e non al «dove» riaprire prima (al Nord o al Sud). Si dovrà trattare di un riavvio equilibrato delle varie attività produttive, anteponendo sempre la garanzia della salute dei lavoratori. Dando priorità, una volta rafforzate le misure di sicurezza e di monitoraggio della diffusione del virus, alle produzioni a maggior impatto occupazionale, secondo le specificità proprie di ogni contesto territoriale e tenendo conto delle profonde interdipendenze presenti nelle filiere produttive nazionali.

di Carmelo Petraglia

Professore associato di Economia Politica presso l’Università della Basilicata

Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Picentia