Un gesto antico, un rito moderno: la storia della Festa della Mamma

Un gesto antico, un rito moderno: la storia della Festa della Mamma

11 Maggio 2025 0 Di Alessandro Mazzaro

Dalle dee madri ai garofani di Anna Jarvis, dalle Matronalia romane ai banchetti etiopi: la lunga traiettoria culturale di una celebrazione universale che continua a raccontare il ruolo sociale della maternità.

In un mondo sempre più segnato da ricorrenze convenzionali e omaggi calendarizzati, la Festa della Mamma resiste come una delle celebrazioni più diffuse e riconoscibili, ma anche tra le più stratificate per origine e significato. Non nasce da un decreto statale, né da un’esigenza liturgica: affonda piuttosto le sue radici in una costellazione di riti arcaici, esperienze religiose, rivendicazioni civili e memorie familiari. Quella che oggi appare come una ricorrenza affettiva e commerciale è, in realtà, un crocevia di genealogie culturali che meritano di essere ricostruite.

La madre-dea e la chiesa madre

Le prime tracce risalgono alle civiltà classiche, quando la madre era ancora divinità. I greci celebravano Rea, genitrice dell’Olimpo, e i romani ne riprendevano il culto in forma duplice: con le Matronalia del 1° marzo, in onore delle donne sposate, e con le Hilaria di fine marzo, dedicate alla dea Cibele, la Magna Mater che urlava nei culti orgiastici. La maternità era allora forza generatrice e principio cosmico. Nei secoli del cristianesimo medievale, invece, la madre divenne madre-chiesa. In Inghilterra, a partire dal XVII secolo, si diffuse il “Mothering Sunday”: una giornata in cui i giovani apprendisti tornavano a casa per visitare la propria chiesa madre, simbolo di fede ma anche occasione per ritrovare la propria madre biologica. Il lessico religioso conviveva con la ritualità familiare, anticipando una dinamica che accompagnerà tutta la storia della festa: la tensione tra intimità e istituzione.

La madre come pacifista: Anna Jarvis e il garofano bianco

La Festa della Mamma moderna nacque negli Stati Uniti ma da una genealogia tutta femminile. Fu Julia Ward Howe, poetessa e suffragetta, a proporre per prima nel 1870 una “Mother’s Day for Peace”, giornata contro la guerra ispirata alla maternità come vocazione alla vita. Ma fu Anna Jarvis a renderla realtà. Dopo la morte della madre nel 1905, iniziò una campagna per istituire una giornata nazionale in suo onore. Ci riuscì nel 1908, a Grafton, in West Virginia, dove donò 500 garofani bianchi alla chiesa della madre. Nel 1914, il presidente Wilson proclamò la seconda domenica di maggio come Mother’s Day. Jarvis aveva vinto, ma pagherà un prezzo amaro: vedrà la sua creazione snaturarsi in una macchina commerciale, e passerà gli ultimi anni a combatterne la diffusione.

Dal Giappone all’Etiopia: varianti culturali di un archetipo

Mentre negli Stati Uniti la festa si consolidava, il modello si irradiava nel mondo, adattandosi a usi e contesti locali. In Giappone il garofano rosso divenne simbolo della madre vivente, quello bianco della madre scomparsa. In Etiopia, la celebrazione si trasformò in un rito collettivo di tre giorni, con banchetti rituali e unguenti di burro. In Francia, dove si festeggia l’ultima domenica di maggio, l’origine è legata alle madri numerose e alla ricostruzione postbellica. In Inghilterra, la Simnel Cake rimane un dolce che lega la festa alla liturgia quaresimale. Il mondo arabo celebra le madri all’equinozio di primavera. Dunque la Festa della Mamma, pur globalizzata, resiste all’uniformità: continua a declinarsi al plurale.

L’Italia: tre nascite, una storia

Il fascismo aveva già tentato una propria declinazione della maternità pubblica. Nel 1933, la “Giornata della madre e del fanciullo” premiava le donne più prolifiche, coerentemente con la retorica natalista e il culto della famiglia numerosa come fondamento della nazione. Se la maternità repubblicana sarà affettiva e diffusa, quella fascista fu censitaria, celebrata in modo solenne e gerarchico.

La vicenda italiana della Festa della Mamma, invece, si distingue per una pluralità di origini, ognuna legata a un contesto sociale e simbolico diverso. A Brescia, nel 1952, la direttrice scolastica Emma Lubian Missiaia organizzò una cerimonia pubblica in onore delle madri delle allieve: una festa intima ma condivisa, sostenuta dal sindaco Bruno Boni, e fortemente legata al ruolo educativo e femminile della scuola. A Bordighera, invece, fu il sindaco Raul Zaccari, nel 1956, a proporre una celebrazione teatrale che nel 1958 approdò al Senato sotto forma di disegno di legge. Il dibattito parlamentare fu rivelatore: qualcuno ritenne inopportuno codificare per legge una dimensione affettiva così privata, altri temevano una deriva mondana e “vanitosa” della ricorrenza.

Parallelamente, nel borgo umbro di Tordibetto, il sacerdote don Otello Migliosi istituiva nel 1957 una versione religiosa della festa, più spirituale e comunitaria, legata alla Madonna e al culto della famiglia cristiana. Questi tre nuclei – civile, istituzionale e religioso – si svilupparono inizialmente in parallelo.

Per lungo tempo la data della celebrazione fu fissata all’8 maggio, in coincidenza con la commemorazione cattolica della Madonna del Rosario di Pompei. Solo nel 2001, con l’intento di armonizzare il calendario italiano con quello internazionale e valorizzare il profilo laico della festa, si stabilì ufficialmente che la Festa della Mamma ricorresse nella seconda domenica di maggio, secondo la tradizione statunitense.

La Festa della Mamma italiana, dunque, riflette una storia sociale in miniatura: attraversa le politiche familiari del dopoguerra, la laicizzazione delle cerimonie, i conflitti tra Stato e sentimento, tra rituale e spontaneità. Oggi resta un appuntamento familiare e commerciale, ma porta ancora impressi, in filigrana, i segni della sua triplice origine.