Giornata contro la violenza sulle donne: il Covid-19 e i dati 2020-2021
25 Novembre 2021Conviviamo ormai da quasi due anni col Covid-19. E convivere è forse il verbo più adatto, poiché per lungo periodo anche la convivenza fra le persone è stata stressata. La riduzione di spazi extra domestici ha portato a un contatto costante fra i membri dei nuclei familiari. Era prevedibile (ed è stato così) che a variare notevolmente sarebbero stati anche i casi più violenti di convivenza, fra cui la violenza sulle donne. L’Istat, col suo report “L’effetto della pandemia sulla violenza di genere“, stilato grazie all’utilizzo dei dati inediti provenienti dalla Rilevazione sulle utenti dei Centri antiviolenza (CAV), ha fatto luce sui casi emersi a partire dal primo periodo Covid-19.
Sono oltre 15 mila le donne che nel 2020 hanno iniziato il percorso personalizzato di uscita dalla violenza presso i Centri antiviolenza che aderiscono all’Intesa Stato Regioni. Più del 90% delle donne, circa 13.700, si è rivolta a un CAV per la prima volta proprio nel 2020. Il 5,6% di queste ha iniziato il percorso di uscita dalla violenza a marzo e il 15% lo ha fatto tra aprile e maggio, superando le restrizioni previste a causa dell’emergenza sanitaria. Gli interventi in emergenza sono stati infatti più frequenti in questi tre mesi. Considerando i casi in cui è presente l’informazione sulla durata della violenza (circa 10.400), emerge che per il 74,2% delle donne, circa 7.700, la violenza non è nata con la pandemia ma preesisteva: il 40,6% delle donne subisce violenza da più di 5 anni, il 33,6% da 1 a 5 anni. La risposta dei CAV è stata efficiente: al 12,6% delle donne è stato offerto il servizio di pronto intervento e messa in sicurezza, al 14,2% il percorso di allontanamento dalle situazioni della violenza e al 18% il sostegno per l’autonomia. Per rispondere ai bisogni delle donne, i servizi maggiormente offerti dai Centri nel 2020 sono stati l’ascolto (97,1%) e l’accoglienza (82,8%).
Nei primi nove mesi del 2021 le richieste di aiuto al “1522” delle vittime tramite chiamata telefonica o via chat sono state 12.305 (15.708 nel 2020 e 8.647 nel 2019). I dati evidenziano che le misure restrittive alla mobilità, adottate per il contenimento della pandemia, hanno amplificato nelle donne la paura per la propria incolumità. Nei primi nove mesi del 2020 si è osservato, infatti, un aumento delle segnalazioni di violenza in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita per sé o per i propri cari (3.583 contro 2.663 nel 2019). Al contrario, la riduzione delle restrizioni negli stessi mesi del 2021 ha portato a una diminuzione delle segnalazioni di violenza in cui la vittima percepiva pericolo imminente (2.457 nel 2021). L’allentamento delle misure restrittive per la pandemia ha avuto anche un effetto selettivo sulle violenze segnalate al 1522. Infatti, sono diminuite, rispetto allo stesso periodo del 2020, le segnalazioni per violenze subite da partner (da 58,6 a 53,4%) e aumentate quelle subite da ex-partner e da altri familiari o altri autori esterni alla famiglia. La diffusa campagna di sensibilizzazione, messa in atto per non far sentire sole le donne vittime di violenza durante la pandemia, ha portato anche all’emersione nel corso del 2021 di violenze meno gravi rispetto a quelle intercettate dal 1522 nel 2020.
Dai dati delle Forze di polizia emerge un forte calo delle denunce per maltrattamenti, stalking e violenza sessuale nei mesi del lockdown e un nuovo aumento nei mesi successivi. La diminuzione delle denunce di maltrattamento è soprattutto legata al maggiore controllo attuato da parte dei partner e dei familiari conviventi, conseguente al confinamento in casa. Le misure restrittive contro la pandemia hanno sottolineato le differenze della violenza contro gli uomini e le donne. Le donne sono uccise sempre di più tra le mura domestiche, da partner e parenti, e quindi non hanno tratto giovamento dall’indicazione di restare a casa. Gli uomini sono invece uccisi in prevalenza da persone che non conoscono, da conoscenti e nell’ambito della criminalità organizzata. La punta dell’iceberg della violenza, gli omicidi, è comunque stabile nel tempo per le donne (che vengono uccise con armi da taglio, da fuoco, armi improprie e, più frequentemente degli uomini, con le percosse o in altri modi, come l’asfissia e lo strangolamento).
Delle oltre 15 mila le donne che nel corso del 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla
violenza nei Centri, per il 19,9% (più di tremila) si è trattato di un intervento in emergenza, modalità in aumento nei mesi di marzo, aprile, maggio, quando si sono registrate le percentuali più alte di interventi in urgenza, rispettivamente pari a 21,6%, 22,9%, 21,2%. Le donne che hanno deciso di intraprendere un percorso di uscita della violenza nel corso del 2020 appartengono, anche se in misura diversificata, a tutte le fasce di età. Il 29,4% ha un’età compresa tra i 40 e i 49 anni, il 26,9% tra i 30 e 39, il 18,8% ha meno di 30 anni, il 16,9% tra i 50 e i 59 anni. Il 72% ha la cittadinanza italiana e il 59% ha il domicilio nella stessa provincia dove è collocato il centro. In oltre il 70% dei casi la situazione di violenza non è nata con la pandemia. Considerando solo i casi (circa 10.400) in cui è presente l’informazione sulla durata della violenza8 , la quota di donne che hanno subito violenza da più di un anno è pari al 74,2%; nell’8,4% dei casi invece la violenza è recente, essendo iniziata da meno di sei mesi, e nel 14,2% è sopraggiunta da 6 mesi a un anno. La storia di violenza vede nove donne su 10 segnalare di aver subito violenza psicologica, il 67% violenza fisica e il 49% minacce, il 38% violenza economica. I racconti descrivono il perpetrarsi di più tipologie di violenze: sono solo il 16,3% quelle che hanno subito un unico tipo di violenza mentre il 10,5% ne ha subite più di quattro. Le associazioni più frequenti tra i diversi tipi di violenza sono: violenza fisica e violenza psicologica (13,5%); violenza fisica insieme a minacce, violenza psicologica ed economica (11,1%); violenza fisica con minacce e violenza psicologica (11%).
Nonostante la pandemia, i CAV sono riusciti a rispondere alle richieste di aiuto delle donne. Proprio nel mese di marzo 2020 si riscontrano le percentuali maggiori di erogazione dei servizi che caratterizzano la fase iniziale della presa in carico: ascolto, accompagnamento nel percorso di allontanamento dalla violenza, pronto intervento e messa in sicurezza fisica, sostegno all’autonomia e alla ricerca del lavoro, supporto per cercare un alloggio e orientamento ad altri servizi offerti dalla rete dei Centri. Nei primi tre trimestri del 2021 sono state 12.305 le richieste di aiuto al “1522” (tramite le telefonate o la chat). Confrontando i primi tre trimestri del 2020 con i primi 3 del 2021 emergono differenze interessanti proprio sulla gravità della violenza. Rispetto al 2020, infatti, sono diminuite le situazioni in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita (dal 34,2% del 2020 al 28,6% del 2021), ha avuto paura di morire a causa della violenza (dal 4,5% al 2,9%) o ha temuto per l’incolumità dei propri cari (dal 4,8% all’1,4%). Al contrario sono aumentate le segnalazioni di violenze di minore gravità. Tra le conseguenze della violenza sono indicati con più frequenza, nel 2021, gli stati di ansia (dal 18,5% al 23,8%) e il sentirsi molestate ma non in pericolo (dal 6,9% al 16,8%).