Unioncamere, filiera: “Il 41% delle imprese fuori quest’anno dalla crisi”

Unioncamere, filiera: “Il 41% delle imprese fuori quest’anno dalla crisi”

17 Agosto 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Le imprese che operano all’interno di filiere sono più innovative, più aperte ai mercati stranieri e più ottimiste sul futuro di quelle che lavorano in maniera isolata. Il 41 per cento di queste imprese prevede di recuperare i livelli produttivi pre-Covid già entro quest’anno, contro il 36 per cento delle altre aziende. Una quota che sale al 45 per cento per le imprese in filiera che hanno investito nelle tecnologie 4.0 contro il 35 per cento delle altre digitalizzate. Innovazione e export sono tra le leve strategiche su cui puntano per stare sul mercato. Il 62 per cento delle imprese che lavorano insieme ha fatto investimenti per innovare (contro il 38 per cento delle altre) e il 22 per cento esporta, con punte che arrivano al 30 per cento nelle filiere 4.0 (contro il 24 per cento delle altre digitalizzate). La collaborazione tra imprese che hanno attività interconnesse lungo tutta la catena del valore – dalla creazione sino alla distribuzione- di un bene o servizio – si rileva quindi un importante fattore di competitività per gli imprenditori, soprattutto se abbracciano il digitale avanzato. È quanto emerge da un’analisi realizzata dal Centro Studi Tagliacarne su dati Unioncamere/InfoCamere sulle 17 filiere individuate dal ministero dello Sviluppo economico. Un universo che conta oltre 3,8 milioni di imprese attive – il 75 per cento del sistema imprenditoriale italiano-, occupa più di 12 milioni addetti (71,4 per cento del totale economia extra-agricola) e genera 2.500 miliardi di euro di fatturato (78,9 per cento del totale industria e servizi).

“Più di 3 imprese su 4 del nostro Paese operano all’interno di filiere, alcune più corte, di territorio, altre più internazionali; tante si sono modificate per gli effetti della crisi pandemica”, commenta il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “In molte il rapporto tra le imprese non si esaurisce nel contratto di fornitura ma, come mostrano diverse analisi di Unioncamere, si arricchisce con fattori qualitativi, servizi, supporti finanziari, percorsi di certificazione, spesso indotti dalle aziende capo-filiere, normalmente medie o grandi. Questi fattori e supporti diventano molto importanti in questi anni in cui centinaia di migliaia di piccole aziende, il cuore della nostra economia, dovranno affrontare il ripido percorso della doppia transizione, digitale e ambientale. Sono perciò necessarie scelte pubbliche che aiutino l’irrobustimento delle filiere, dei legami forti che si istaurano al loro interno e le aggregazioni tra imprese, per salvaguardare la competitività del nostro sistema”. Costruzioni e agrobusiness rappresentano quasi il 60 per cento delle imprese attive coinvolte nel sistema delle filiere (rispettivamente il 29,1 per cento e il 28,8 per cento). Ma il loro peso percentuale scende intorno al 30 per cento se si considerano i dati occupazionali (costruzioni: 18,8 per cento; agrobusiness: 12,6 per cento) e di fatturato (agrobusiness: 17,4 per cento; costruzioni: 11,8 per cento). Ampliando l’analisi alle altre attività si distinguono per numero di addetti: la sanità 9,8 per cento, il turismo-beni culturali 8,7 per cento e sistema moda 8,3 per cento. Mentre per fatturato spiccano le filiere dell’energia 11,2 per cento, dei mezzi di trasporto 9,8 per cento e, ancora, del sistema moda 7,0 per cento.

È la Lombardia con oltre 580 mila imprese attive (15 per cento del totale nazionale) a svettare in cima alla classifica italiana delle imprese che operano in filiera. Seguono la Campania (9,4 per cento) e il Lazio (9,2 per cento). Ma se si guarda all’incidenza delle filiere sul tessuto produttivo di ciascuna regione la prospettiva cambia. A conquistare le prime posizioni di questa speciale graduatoria sono: Bolzano (con l’83,8 per cento delle imprese in filiera sul totale locale), Basilicata (81,1 per cento) e Molise (80,8 per cento). Le imprese che operano all’interno delle filiere presentano una maggiore propensione ad innovare rispetto alle altre non operanti in filiera, il 62 per cento contro il 38 per cento. E per competere puntano soprattutto sull’innovazione di prodotto (il 46 per cento contro il 25 per cento) e di processo (il 39 per cento contro il 24 per cento). Anche tra le imprese che adottano tecnologie 4.0 pesa l’effetto filiera: il 74 per cento delle imprese che collaborano tra loro ha investito in almeno una forma di innovazione (tra quelle di prodotto, processo, organizzativa, marketing) contro il 67 per cento di quelle non filiera. E questa diversa sensibilità ad innovare mostra un differenziale che arriva fino a 17 punti percentuali per quanto riguarda l’innovazione di prodotto. I benefici del lavorare in filiera si fanno sentire anche sulla maggiore apertura ai mercati stranieri, in particolare per quelle imprese che adottano le tecnologie abilitanti. Il 30 per cento del fatturato delle filiere 4.0 è alimentato dalle vendite estere, contro il 24 per cento di quello delle altre imprese digitalizzate non in filiera. Non solo, le prime esportano anche mediamente in più mercati rispetto alle seconde (24 contro 19). Non a caso nel PNRR si riserva attenzione al tema delle filiere leggendolo sotto la lente dell’internazionalizzazione proprio sotto l’asse strategico della Transizione digitale.