Nove anni senza Lucio Dalla

Nove anni senza Lucio Dalla

1 Marzo 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

«La morte è solo l’inizio del secondo tempo» diceva. E se si avvicina anche lontanamente alla grandezza del primo, non avrà di che lamentarsi. Nove anni fa, il 1° marzo 2012, se ne andava Lucio Dalla.

Aveva iniziato un tour europeo il 27 febbraio, a Lucerna e la sera successiva a Zurigo. Dopo la tappa di Montreux, Dalla avrebbe dovuto suonato a Basilea, Berna, Ginevra, Lugano, Parigi, Dusseldorf, Amburgo, Brema, Francoforte, Lussemburgo, Stoccarda e Monaco, fino alla tappa conclusiva di Berlino. Ma un malore l’ha colto di sorpresa la mattina di giovedì 1° marzo, dopo la colazione e un paio di chiamate. Di lì a tre giorni, il 4 marzo, avrebbe compiuto sessantanove anni. Ma è proprio questa data che può essere considerata l’inizio  della sua produzione musicale. Infatti, fra le canzoni più celebri, c’è sicuramente “4/3/1943”. A differenza dell’apparenza però, non è un brano autobiografico. Fu presentata al Festival di Sanremo del 1971 e si è classificata al terzo posto. Inizialmente il titolo del brano doveva essere “Gesubambino” ma la censura costrinse Lucio Dalla e Paola Pallottino, coautrice, a cambiare sia il titolo che gran parte della canzone. Proprio lei ha spiegato più volte il significato della canzone, vale a dire un ideale risarcimento a Lucio Dalla. La paroliera aveva pensato ad una canzone sull’assenza del padre, poiché il cantautore è rimasto orfano all’età di 7 anni ma durante la stesura si è trasformata in un brano sull’assenza della madre. Racconta la storia di una ragazza madre che aveva avuto un figlio con un soldato alleato. Il brano venne prima cantato da Lucio Dalla nel dicembre del 1970 al teatro Duse di Bologna poi portata sul palco del Festival di Sanremo dallo stesso cantautore e dall’Equipe 84. Il brano è del disco “Storie di casa mia”, del 1970.

Poi i tre album con Roberto Roversi: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride Solforosa e “Automobili”. La collaborazione, nata nel ’73, mentre Dalla è in piena crisi d’identità (artistica). Dopo quattro anni di battibecchi, i due mettono fine al sodalizio.

Dalla si lancia quindi nel ’77 in una produzione individuale. Il risultato è semplicemente clamoroso: prende vita “Com’è profondo il mare”, album omonimo del brano più noto e rappresentativo. Si rende qui visibile la poliedricità dell’artista bolognese, che unisce umorismo, riflessioni sociali e politiche. Il mare, fra le tante, rappresenta il libero pensiero che non «puoi bloccare» o «recintare».

Nel ’79 l’album probabilmente più riuscito: “Lucio Dalla”. L’accordanza di magnifici testi e melodie offre il prodotto più rappresentativo del suo estro, che si chiude con l’eterna “L’anno che verrà”. Il brano scritto nel ’78, in un periodo colmo di eventi segnanti come il delitto Moro, la morte naturale di Paolo VI e quella misteriosa di Giovanni Paolo I, suo successore, riassume benissimo quello che era il sentire comune della popolazione: lo sfinimento e l’auspicio di cambiamenti rivoluzionari nell’anno successivo. Probabilmente, il suo ascolto alla vigilia di Capodanno 2021 ha avuto un sapore decisamente speciale, considerando l’incredibile quanto travagliato, doloroso e incerto 2020. Basti pensare al “si esce poco la sera, compreso quando è festa”: Dalla ci tenne a precisare però di aver «fatto una canzone per nulla pessimista. Non ci sono miracoli, l’unico che possiamo fare è quello su di noi, essere sempre funzionanti, non vedere sempre il nero, il terribile».

Segue nell’anno successivo “Dalla”, album che spicca con i brani “Futura”, “Cara” e “Il parco della luna”. La conferma definitiva della sua capacità di unire parole e suono. Il trittico degli album scritti da solo lo consacra al grande pubblico e lo inserisce fra le stelle del cantautorato italiano. Seguiranno poi altri successi come “Caruso” e “Attenti al lupo”.

Le collaborazioni con Pavarotti, Ron, De Gregori, l’amicizia con Alda Merini, Carmelo Bene, Carlo Verdone, non l’hanno mai allontanato dalle sua radici popolari. La commozione dei concittadini, che lo vedevano ogni giorno per le strade di Bologna, fu tanta. Radici popolari che sentiva vive come non mai quando si trovava a Napoli. «Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno, di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200.000 euro io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni». «La bellezza di Totò è la bellezza di Napoli. Napoli, si fa presto a dire, sembra una città, non lo è, è una nazione, è una repubblica. L’ammirazione che io ho per il popolo napoletano nasce proprio da questo amore per Totò. Napoli è il mistero della vita, bene e male si confondono, comunque pulsano. Sono stato influenzato dall’esistenza di Totò sotto tutte le forme, per me era un mito» dice sul principe De Curtis.

In un periodo storico incredibilmente difficile, aggrappandoci al ricordo di Lucio Dalla, «aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani».

Di Francesco Mazzariello