L’andamento dei tassi del lavoro in Italia

L’andamento dei tassi del lavoro in Italia

1 Marzo 2021 0 Di Alessandro Mazzaro

Per capire i problemi realistici del mercato del lavoro italiano bisogna fare riferimento a tre tassi:
1) tasso di occupazione;
2) tasso di disoccupazione;
3) tasso di partecipazione.
Per quanto riguarda il primo l’Italia registra risultati non soddisfacenti, poiché negli anni di crescita economica come quelli compresi nel periodo 1995-2008, gli incrementi sono stati inferiori rispetto a quelli dell’Unione Europea. Nel periodo di crisi 2008-2012 il tasso di occupazione dell’Italia e quello degli altri Paesi dell’UE si sono ridotti più o meno della stessa percentuale. Nel 2011 in Italia il tasso di occupazione era del 56,48% contro una media europea un poco più elevata. Nel 2015 il dato risultava sostanzialmente stazionario (56,3%). A dicembre 2018 la stima degli occupati risulta in lieve crescita rispetto a novembre (+0,1%, pari a più 23.000 unità); anche il tasso di occupazione sale al 58,8% (+0,1% punti percentuali). Contrariamente ai due mesi precedenti, il leggero incremento dell’occupazione è di nuovo dovuto a una crescita dei dipendenti a tempo determinato più ampia della flessione dei lavoratori a tempo indeterminato, a cui si aggiunge una lieve ripresa dei lavoratori autonomi.

Il secondo tasso invece è più utilizzato per valutare lo stato del mercato del lavoro. In Italia già dalla fine del secolo scorso ha raggiunto valori elevati, con un andamento però decrescente fino alla crisi del 2008, anno in cui ha ripreso a salire. Fino al 2006, si può parlare di una convergenza di alcuni Paesi (Spagna, Germania, Francia) verso tassi di disoccupazione fra il 7% e il 9% e di un altro gruppo verso tassi vicini al 5% (Regno Unito, Giappone, Irlanda, Stati Uniti), con l’Italia verso una posizione intermedia; dal 2008 i tassi sono tornati a divergere, con risultati variabili da Paese a Paese. Nel novembre 2018 il tasso di disoccupazione si attesta al 10,5% (-0,1% punti percentuali), quello giovanile scende al 31,6%. Nel nostro Paese è però notevole la differenza tra i tassi di disoccupazione registrati nelle tre grandi aree geografiche (Nord, Centro, Sud), con il Nord ( soprattutto il Nord-Est) che ha sempre registrazione nel corso del tempo valori assai bassi, a differenza del Sud che presenta valori molto elevati. Notevoli sono anche le differenze grado tassi di disoccupazione relativi a fasce di popolazione determinate per sesso (con tassi più elevati per le donne), e per età (con punte molto elevate per i giovani).

Per quanto riguarda l’ultimo tasso invece si può dire che in Italia sia decisamente il più basso rispetto alla media europea e in generale a quella dei Paesi sviluppati. A novembre 2018 il tasso di inattività sale al 34,3% (+0,1% punti percentuali). Si tratta di un fenomeno che assume dimensioni particolarmente elevate per le donne, e in modo preoccupante tra i giovani. Se infatti nella seconda metà del 2018, il tasso di inattività su base annua della popolazione tra i 15 e i 64 anni ha visto solo un aumento del 0,2%, l’aumento degli inattivi nella classe 25-34 anni è stata del 3,9% a fronte di una diminuzione degli occupati dello 0,4% e dei disoccupati del 13,3%. Pertanto, i miglioramenti interessano le persone di età più avanzata, mentre molti giovani passano dalla ricerca attiva del lavoro ad una condizione di scoraggiamento e non ricerca. L’aumento di chi non cerca più lavoro potrebbe essere interpretato positivamente qualora ci fosse un ritorno agli studi, ma purtroppo non si riscontrano aumenti dei tassi di scolarizzazione della popolazione inattiva. Le cause di un basso tasso di partecipazione sono di diversa natura, soprattutto di tipo:
– Culturale (difficoltà e vincoli al lavoro per le donne; presenza di legami familiari che agiscono da sostegno per i giovani, ecc.)
– Economico (la scarsa domanda di lavoro scoraggia una ricerca attiva);
– Istituzionale (carenza dei servizi per l’impiego).

La differenza dei tassi di partecipazione rispetto agli altri Paesi è dovuta in parte anche alla presenza di un’ampia fascia di lavoro nero, con conseguenze negative innanzi tutto per le entrate dello Stato, dal momento che i lavoratori in nero non pagano le imposte sul reddito e sui contributi pensionistici. Questo comporterà un considerevole aumento della pressione tributaria generale.

Di Emanuela Di Rauso

Bibliografia:
Franco Angeli. Il mercato del lavoro in Italia (2005). Osservatorio HRC 2005-2006
Ferruccio Pelos. Il mercato senza lavoro (2013). Crisi, occupazione e tutele oggi in Italia