L’economia nel mondo: I Paesi sviluppati e sottosviluppati

L’economia nel mondo: I Paesi sviluppati e sottosviluppati

21 Dicembre 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Il termine sviluppo ha assunto diversi significati, divenendo di volta in volta sinonimo di “progresso culturale”, “modernizzazione”, “industrializzazione”, “crescita economica”. In tempi recenti si è pensato di misurare lo sviluppo in base al PIL. Il PIL, che rappresenta la ricchezza (in beni e servizi) prodotta in un anno in un determinato territorio, è un dato che si riferisce unicamente alla crescita economica. Che sia inteso come valore totale piuttosto che come distribuzione media del reddito (PIL pro-capite), esso non appare comunque un indice significativo dello sviluppo di uno stato. Infatti, potrebbe risultare elevato anche il PIL di uno stato dove accanto a pochi cittadini molto ricchi vivessero moltissimi cittadini poveri, il cui livello di vita, in realtà ben lontano dalla media, sarebbe falsato da quello dei cittadini ricchi. A partire dal 1993 le Nazioni Unite hanno deliberato di adottare un indice chiamato ISU (in inglese: HDI-Human development index), elaborato da un economista pakistano, Mahbub ul Haq. L’ISU non tiene conto solo della ricchezza economica, ma anche di altri fattori (distribuiti in modo meno disuguale di quanto potrebbe essere il reddito), come l’alfabetizzazione e la speranza di vita. Esso in pratica rileva i risultati medi raggiunti da un paese riguardo a tre aspetti fondamentali dello sviluppo umano:

· una vita lunga e sana, misurata dall’aspettativa di vita alla nascita;
· l’istruzione (alfabetizzazione degli adulti, scolarità complessiva);
· condizioni di vita dignitose, misurate dal Pil pro-capite (in dollari).

Quando si parla di paesi sottosviluppati spesso si fa ricorso a espressioni quali “Terzo mondo”, “Quarto mondo”, “Sud del mondo”. L’espressione “Terzo mondo” fu coniata verso la metà del secolo scorso, ai tempi della Guerra Fredda, da un economista francese, in analogia con il Terzo stato, la classe sociale che, ai tempi della Rivoluzione francese, lottò contro i privilegi della nobiltà e del clero. Il Primo mondo e il Secondo mondo erano costituiti dai paesi avanzati rispettivamente a economia capitalista e a economia socialista. In seguito ci si è resi conto che anche il Terzo Mondo si era venuto differenziando in due gruppi distinti di paesi: da una parte gli stati (come alcuni stati petroliferi arabi) con consistenti ricchezze naturali a disposizione e di conseguenza economicamente avvantaggiati, dall’altra i paesi del cosiddetto Quarto Mondo, privi di risorse naturali, flagellati dalla fame e dalla miseria. In tempi ancora più recenti alcuni studiosi, per distinguere i paesi più ricchi da quelli più poveri, hanno utilizzato le espressioni Nord e Sud del Mondo, in quanto la maggior parte dei paesi sviluppati si trova nell’emisfero settentrionale, mentre quelli sottosviluppati sono concentrati nella fascia intertropicale e nell’emisfero meridionale (con qualche eccezione, come ad esempio il Sudafrica, l’Australia e la Nuova Zelanda). Per capire cosa significa sottosviluppo bisogna fare riferimento a tre caratteristiche:
1) I paesi sottosviluppati sono il modello della fame; anche se si fanno sempre più rare le terribili carestie che fino a pochi decenni fa colpivano le popolazioni di queste regioni, quasi tutti i paesi sottosviluppati soffrono la mancanza di un’alimentazione completa ed equilibrata le cui dannose conseguenze favoriscono il diffondersi di numerose malattie endemiche. Oltre a richieder un’alimentazione relativamente abbondante, il corpo umano ha anche bisogno di una certa varietà di alimenti e soprattutto deve consumare dei cibi che proteggono la sua salute e favoriscono lo sviluppo normale dell’organismo. Purtroppo, invece la difettosa alimentazione è normale nella maggior parte dei paesi sottosviluppati.
2) La situazione economica dei paesi sottosviluppati è quasi sempre precaria. L’attività dominante è quasi sempre precaria. L’attività dominante è l’agricoltura, l’industria è poco sviluppata e le sue tecniche sono spesso molto antiquate. La produttività ed il consumo di energia sono sempre assai ridotti. La principale attività commerciale è spesso costituita dall’esportazione verso i paesi sviluppati di un unico prodotto non lavorato. Inoltre, a causa dell’eccessiva specializzazione i paesi sottosviluppati sono quasi sempre costretti ad importare dai paesi industrializzati tutti i prodotti dell’industria di cui hanno bisogno.
3) La fame è un fenomeno antichissimo, ed anche le strutture economiche dei paesi sottosviluppati si sono formate attraverso secoli di storia; è invece relativamente recente l’ultima, e più importante, caratteristica dei paesi sottosviluppati: il fortissimo aumento della natalità.
Questa vera e propria esplosione demografica, dovuta agli straordinari progressi della medicina, è iniziata una quarantina di anni fa, e soprattutto si è fatta sentire con forza sempre crescente dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. La rivoluzione sanitaria ha provocato un crollo vertiginoso della mortalità mentre il tasso di natalità è rimasto molto elevato.

L’aspetto principale che distingue la popolazione dei paesi sviluppati da quella dei paesi sottosviluppati è indubbiamente la diversa disponibilità di alimenti. Nei paesi ricchi dove la popolazione aumenta assai lentamente e l’agricoltura, grazie alla tecnologia, ha un’alta capacità produttiva, gli uomini dispongono di una quantità di alimenti superiore ai loro bisogni, perciò una buona parte viene immagazzinata e destinata al commercio internazionale. Nei paesi poveri, invece, la popolazione aumenta in modo spesso vertiginoso e l’agricoltura produce pochissimo, così molta gente soffre la fame. La popolazione dei paesi sottosviluppati continua a crescere perché altissimo è il tasso di natalità. Questo è conseguenza sia dello scarso utilizzo di strumenti di controllo delle nascite, sia dell’alta mortalità. Infatti, nelle civiltà contadine fondate sul lavoro delle braccia, avere molti figli vuol dire anche sperare che almeno qualcuno diventi adulto e possa prendersi cura dei genitori. L’agricoltura produce poco perché praticata con mezzi primitivi e poco efficienti su terreni che spesso, per la carenza d’acqua legata alle condizioni climatiche, sono aridi e poco produttivi. La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che studia i problemi dell’agricoltura e dell’alimentazione nel mondo, ritiene che nel mondo quasi 900 milioni di persone siano in uno stato di forte denutrizione e che circa 40-50 milioni di individui ogni anno muoiano per fame, soprattutto tra i più deboli, cioè i bambini e gli anziani. La maggioranza di queste persone muore per sottoalimentazione e malnutrizione, a causa cioè di una dieta povera e squilibrata, perché basata in prevalenza sui cereali e carente di vitamine e proteine.

Le cause del sottosviluppo sono molteplici e possono essere distinte in interne ed esterne. Tra le cause interne dobbiamo porre innanzitutto le sfavorevoli condizioni ambientali, in particolare climatiche: è questo il caso ad esempio dell’Africa subsahariana, flagellata da lunghi periodi di siccità. Il clima sfavorevole, però, non basta a spiegare il sottosviluppo; infatti, ci sono paesi del Terzo Mondo situati in regioni favorevoli all’agricoltura e paesi ricchi, come ad esempio l’Olanda, che hanno dimostrato di saper produrre ricchezza anche in condizioni naturali sfavorevoli. Un’altra causa interna del sottosviluppo è il forte incremento demografico di queste popolazioni, che rende vano ogni aumento della produzione agricola e fa sì che molta gente soffra la fame. Altre cause interne sono di carattere sociale e politico. Molti stati sottosviluppati, infatti, presentano profonde disuguaglianze economiche tra una minoranza privilegiata, proprietaria di terra e capitali, e una massa enorme di contadini poveri; questi stati inoltre spesso sono in guerra tra loro e sono retti da regimi dittatoriali che sono l’espressione di queste minoranze ricche, perciò la popolazione più povera è costretta ad accettare con la forza la propria miserevole condizione.

Tra le cause esterne, le principali senza dubbio vanno ricercate nei rapporti che questi paesi hanno avuto negli ultimi secoli con gli stati più ricchi del mondo e cioè nel colonialismo e nel neocolonialismo. Quasi tutti gli attuali paesi sottosviluppati, infatti, sono stati in passato colonie europee e, per molto tempo, le loro ricchezze sono state sfruttate dagli stati colonizzatori. Inoltre, il colonialismo non ha favorito la formazione di una classe borghese attiva e intraprendente, simile a quella europea, ma ha rafforzato il potere delle poche persone privilegiate del posto che vivevano sfruttando la massa dei contadini. Anche dopo la fine del colonialismo, i paesi ricchi e industrializzati, approfittando della propria superiorità tecnologica ed economica, hanno mantenuto rapporti commerciali favorevoli alla loro economia e spesso hanno continuato a controllare e a sfruttare le ricchezze agricole e minerarie dei paesi poveri. Così capita ad esempio che un paese ricco, alla ricerca di materie prime, forza lavoro a basso costo e mercati per le proprie produzioni, imponga a uno stato del Sud del mondo la coltivazione di prodotti che poi compera a un prezzo molto contenuto e venda poi a quello stesso stato i propri prodotti finiti a un prezzo molto elevato. Negli ultimi decenni, inoltre, alcuni stati, ad esempio in America Latina, hanno avviato un processo di industrializzazione e di sviluppo economico, ma per fare ciò hanno dovuto richiedere prestiti alle banche dei paesi più ricchi; oggi molti di essi non riescono più a pagare non solo i debiti, ma addirittura i rilevanti interessi che sono maturati: così è aumentato ulteriormente il rapporto di dipendenza economica che lega il Terzo Mondo ai paesi più sviluppati. Per uscire dal sottosviluppo occorre che i paesi interessati dal problema si convincano della necessità di cambiare e si diano da fare contando innanzitutto sulle proprie forze, in quanto un vero sviluppo non può essere imposto dall’esterno. Bisognerebbe, ad esempio, che i governi locali agissero sulle cause del sottosviluppo provvedendo a:

– attuare il controllo delle nascite, seguendo la strada inaugurata dalla Cina e, anche se con minor rigore, dall’India, per far rallentare l’incremento demografico;
– accrescere la produzione agricola, utilizzando per esempio le biotecnologie;
– non farsi coinvolgere in guerre e di conseguenza diminuire le spese militari, perché ci siano una situazione politica ed economica meno drammatica e maggiori risorse a disposizione;
– operare processi di democratizzazione, perché gli elettori possano vigilare sugli episodi di spreco e di corruzione;
– attuare riforme agrarie, in modo da eliminare i forti contrasti esistenti tra pochi grandi latifondisti e la massa dei contadini senza terra;
– lottare contro l’analfabetismo, perché solo con la diffusione dell’istruzione ogni uomo potrà partecipare pienamente alla vita sociale del proprio paese e impegnarsi a migliorarla, eliminando le ingiustizie economiche e sociali.

I paesi sviluppati, dal canto loro, e in primo luogo quelli la cui ricchezza è stata ed è tuttora prodotta dallo sfruttamento economico delle regioni sottosviluppate, hanno il dovere di cercare di risolvere il problema.
In effetti, in questi ultimi decenni, molti paesi ricchi, sotto la spinta delle organizzazioni dell’ONU, come la FAO e l’UNESCO, hanno attuato politiche di aiuto nei confronti delle popolazioni dei paesi sottosviluppati. Ciò è avvenuto in particolare nella forma dei soccorsi immediati, con l’invio gratuito di cibo e medicinali. Questi soccorsi danno un sollievo temporaneo, ma non risolvono di certo il problema, che, una volta consumati gli aiuti, si presenterà nuovamente. Di maggiore utilità sono le forme di cooperazione internazionale (finanziamento di progetti, donazioni di beni, campagne di vaccinazione), in particolare quelle volte a insegnare alle popolazioni dei paesi sottosviluppati l’utilizzo di tecnologie adeguate alle esigenze locali. Alcune organizzazioni non governative, ad esempio, hanno avviato in alcune aree arretrate microprogetti gestiti dalla popolazione del luogo capaci di creare uno sviluppo duraturo. I paesi ricchi dovrebbero procedere inoltre alla cancellazione del debito estero dei paesi poveri, perché il pagamento degli interessi sui crediti concessi negli ultimi decenni assorbe i pochi profitti provenienti dalle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. A proposito di scambi economici, inoltre, sarebbe bene realizzare forme di commercio equo e solidale, in modo che non siano più i mercati del Nord del mondo a stabilire i prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli dei paesi del Sud del mondo. In generale, poi, occorrerebbe provvedere alla liberalizzazione del commercio, eliminando le barriere protezionistiche che non facilitano l’esportazione dei prodotti dei paesi sottosviluppati.

Di Emanuela Di Rauso