Il Gaming Patologico: Come uscirne?
17 Settembre 2020La dipendenza da videogame è entrata ufficialmente a far parte delle classificazioni diagnostiche più importanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha, infatti, inserito il “gaming disorder”, cioè l’uso compulsivo dei videogiochi, nella bozza dell’undicesima edizione della International Classification of Diseases (ICD), classificazione internazionale delle patologie, definendolo come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”.
Sebbene per l’adozione di questa nuova edizione, che sarà presentata a maggio 2019, sembra sia necessario aspettare ancora qualche anno, si tratta comunque di un segnale importante che gli esperti hanno voluto lanciare, affinché questo riconoscimento possa favorire una maggiore consapevolezza e attenzione sul fenomeno, una maggiore e reale attività di prevenzione e sensibilizzazione dei ragazzi e delle loro famiglie e, quando necessario, il ricorso alle più adeguate ed efficaci strategie di intervento. Un utilizzo distorto dei videogiochi può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di dipendenza tale da compromettere lo svolgimento di tutte le altre normali attività quotidiane, la salute fisica e le relazioni sociali. Adolescenti sempre più incollati ai videogiochi: i maschi e i bambini sono la fascia più a rischio abuso e dipendenza. I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus, raccolti su un campione di 11.500 adolescenti, evidenziano come siano soprattutto i maschi a manifestare problematiche maggiori rispetto all’utilizzo dei videogame. Tra i 14 e i 19 anni, il 36% dei ragazzi gioca circa 1,5 ore al giorno e l’11% dalle 3 alle 6 ore quotidiane. Un abuso di tali dispositivi si è rivelato essere ancora più rilevante tra i più piccoli, nella fascia 11- 13 anni: il 50% gioca in media 1,5 ore al giorno, il 15% dalle 3 alle 6 ore e il 4% più di 7 ore. Il 44% di questi preadolescenti, inoltre, gioca connesso alla rete; un dato molto rilevante se si pensa al fatto che l’adescamento dei minori nei giochi online è in forte crescita e i ragazzi, come troppo spesso adulti e genitori, sono ancora poco informati sulle modalità attraverso le quali è possibile essere adescati su Internet e poco consapevoli dei reali rischi che si corrono.
Nel 2015, 1 adolescente su 10 dichiarava di preferire trascorrere il suo tempo libero a giocare al pc e ai videogiochi piuttosto che uscire con gli amici. Oggi i dati sull’utilizzo dei videogiochi individuano nei maschi i soggetti più a rischio dipendenza in relazione alla fascia di età di bambini e preadolescenti. Per questa ragione è fondamentale comprendere il confine sottile esistente tra gioco e dipendenza. Il disagio si manifesta quando si verifica un abuso dei giochi elettronici, quando un loro utilizzo continuativo e sistematico prende il sopravvento, occupa gran parte della giornata dei ragazzi e finisce col sostituirsi ad ogni attività quotidiana. In tali situazioni, bambini e ragazzi tendono a isolarsi dalle relazioni, a chiudersi in sé stessi e in quel mondo virtuale che può diventare, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità, una modalità per evadere dalla quotidianità, sperimentare sensazioni nuove ed evitare il senso di incapacità o inutilità spesso vissuto in altri contesti e in altre relazioni quotidiane. Non si tratta quindi solo del numero di ore trascorse davanti agli schermi, ma di tutta una serie di cambiamenti che sconvolgono la quotidianità, l’umore e il comportamento di bambini e ragazzi.
Possono diventare apatici, irrequieti e irritabili, modificare le proprie abitudini alimentari, di igiene personale, del sonno, possono giocare di nascosto, litigare con i genitori e avere esplosioni di rabbia quando non vogliono terminare la partita o se il genitore decide di interrompere bruscamente il loro gioco. Possono arrivare a trascurare la scuola, lo sport e le relazioni e presentare sintomi fisici, come mal di testa, mal di schiena, disturbi della vista. Il circuito della dipendenza non si innesca certamente in modo improvviso e non si diventa dipendenti da un giorno all’altro; si instaura nel tempo, in modo graduale, si tratta di un avvicinamento lento e inesorabile che tende poi a strutturarsi. Sono sempre più piccoli i bambini che utilizzano quotidianamente la tecnologia e persino i cartoni animati vengono oggi visti attraverso lo schermo di smartphone e tablet. I bambini, dunque, sono continuamente sollecitati e bombardati dagli stimoli audiovisivi che ricevono, spesso addirittura assuefatti da video e giochi elettronici, tanto che si realizza una condizione di sovraesposizione a tali stimolazioni, sia in maniera diretta che indiretta. Non solo il tempo che effettivamente trascorrono con in mano un dispositivo tecnologico, anche l’apprendimento indiretto dentro e fuori le mura domestiche. L’apprensione maggiore dei genitori è legata alla quantità di tempo che il figlio deve o può trascorrere al giorno con strumenti digitali connessi alla rete.
È indubbio che un utilizzo eccessivo possa influire sia a livello psichico che comportamentale, ma ciò che è più importante monitorare e analizzare sono i contenuti che i ragazzi visualizzano o con i quali interagiscono a livello interattivo. Gli aspetti patologici si manifestano quando si palesa un condizionamento nella vita del ragazzo, quando queste attività rappresentano una via di fuga dalla realtà, quando diventa un’evasione e un modo per non affrontare direttamente la vita in tutte le sue sfaccettature. Piuttosto che attaccarli, è importante insegnargli a sfruttare al meglio la capacità di vivere in multitasking, non fargli mai perdere l’aderenza con la realtà, ponendo dei limiti e dei confini ben definiti, perché in rete si può arrivare ovunque, a tutte le ore del giorno e della notte, e i più piccoli non sono ancora pronti a gestire tutto questo da soli. La pandemia da coronavirus (COVID-19) ha sconvolto totalmente le nostre abitudini e modi di vivere. L’obbligo di stare a casa, la sospensione del lavoro e l’allontanamento da familiari e amici hanno comportato un aumento dell’intrattenimento, della comunicazione e del lavoro in formato digitale.
Tra queste forme, in particolare, anche il gioco on-line ha fatto registrare un significativo aumento (Javed, 2020; Perez, 2020). Uno studio condotto da Pantling (2020) registra un aumento del 75% del gioco on-line emerso in concomitanza delle prime direttive di quarantena. In Italia, Lepido e Rolander (2020) hanno descritto un aumento del 70% del traffico Internet riconducibile al gioco “Fortnite”. Considerazioni analoghe derivano dalla analisi di nuovi iscritti delle varie piattaforme esistenti dedicate al tema “videogioco”. Per combattere questa dipendenza bisogna allertarsi, e non restare passivi o indifferenti, di fronte ai primi segnali di dipendenza dei ragazzi. Giocare con loro, scegliere con loro il videogioco e condividere con loro il tempo necessario e sufficiente per avere il piacere di godersi questa forma di divertimento. Insieme, e non da soli. Non utilizzarli nelle camere da letto, spiegando che non è il luogo giusto per i videogiochi, in questo caso nemici del prezioso sonno. Quindi per cercare di uscire da questa dipendenza, è di seguire alcuni piccoli accorgimenti per migliorare il tuo comportamento:
- Stila una lista di quelle che dovrebbero essere per te le attività prioritarie;
- Pianifica quante ore al giorno puoi giocare. In tal caso attento a non superare mai il limite che ti sei posto, a fare delle brevi e frequenti pause;
- Pratica sport ed esci di più con gli amici.
Inoltre, bisognerebbe:
1) Pensare a “disintossicarci” iniziando a prendere le distanze/disconnetterci dai vari dispositivi e console. È raccomandabile iniziare da brevi momenti per incrementare lentamente l’intervallo di tempo. L’uso di dispositivi tecnologici può essere sostituito da attività alternative come lettura, giochi da tavolo, ricerca di nuovi hobbies, ma anche da momenti di sano “vuoto”!
2) Valutare la possibile presenza dei criteri diagnostici della dipendenza da videogiochi può non essere semplice nel contesto generale delle abitudini di vita imposteci dalla pandemiaIn caso di dubbio al riguardo, rimettersi alla valutazione di un clinico esperto in dipendenze.
3) Porre particolare attenzione al fatto che l’isolamento protratto, la trasformazione in formato digitale della maggior parte delle attività e la riduzione delle varie forme di socializzazione potrebbero avere effetto di fattori “scatenanti” su quadri che, prima della pandemia, potevano essere considerati problematici ma non patologici, dando invece luogo a forme di vera addiction.
4) Una considerazione ulteriore da fare è che, se qualche individuo sviluppasse, incrementasse o ricadesse in forme “malate” di gioco (per gestire lo stress da isolamento, ad esempio), un ulteriore problema sarebbe posto dalla possibilità di presa in carico psicologica. Il protratto isolamento potrebbe rendere più difficoltoso il processo di richiesta di aiuto. In questi casi valutare la possibilità di ricevere un supporto psicologico “online”, anche come forma di “accesso” alla relazione di aiuto da trasformare poi in un contatto “vis a vis” in un secondo momento.
5) Ampliare il ventaglio della scelta di gioco, magari opzionando per giochi che incoraggino l’attività fisica e l’interazione sociale in termini di collaborazione.