Rapporto Istat: la fotografia impietosa di un Paese
5 Luglio 2020Da Nord a Sud del Paese aumentano le disuguaglianze, con giovani e donne a pagare a caro prezzo gli effetti drammatici generati dal Coronavirus. Il rapporto 2020 dell’Istat è la fotografia impietosa di una crisi economica che non ha lasciato scampo ai deboli, alle fasce storicamente più vulnerabili dell’intera popolazione. Al di là delle relazioni, dei grafici, dei numeri redatti dall’Istituto guidato dal presidente Blangiardo, emerge un dettaglio ancor più inquietante: l’assenza di un futuro per una generazione che già prima della pandemia era stata condannata a vivere il domani senza certezze. Per milioni di donne e giovani (in primis coloro con contratti a termine e alla ricerca della prima vera occupazione) ci sarà ad attenderli oltre la soglia della porta di casa praticamente il nulla. Un vuoto vergognoso generato da uno Stato assente per decenni, in un sistema nel quale le diverse classi dirigenti che si sono succedute hanno letteralmente spolpato qualsivoglia risorsa disponibile.
Il ritardo imbarazzante dell’Italia con il resto d’Europa è tutto qui e il Coronavirus (come sottolineato seppur elegantemente dall’Istat in svariati passaggi) non può rappresentare un alibi. Semmai ha svolto una funzione di acceleratore della crisi, capace di presentare con largo anticipo ciò che si sarebbe irrimediabilmente profilato tra qualche anno. Non solo, per la prima volta il cosiddetto “ascensore sociale” ha invertito la sua direzione con il numero delle persone destinate all’impoverimento superiori al numero delle persone che si muovono verso classi più agiate.
Trend analogo per quanto riguarda la natalità: le incertezze delle nuove famiglie sul futuro contribuiranno inesorabilmente a far frenare (più del passato) il già basso tasso di natalità.
Alla luce di tutto ciò due domande sorgono spontanee: è questo il Paese che vogliamo? O meglio: è giunto il momento di rassegnarsi o di adoperarsi per disegnare una progettualità ad ampio respiro? Il governo Conte, toccato più di altri dal Rapporto annuale dell’Istat, ha frenato il fiume fisiologico di polemiche scaturite puntando il dito contro la nullafacenza della classe politica del passato.
«Quello alle spalle è stato un ventennio perduto – ha attaccato il premier dal palco del consiglio federale della Uil – servono idee nuove e coraggiose per un orizzonte di lungo periodo». Parole certo condivisibili che vanno ad aggiungersi alla già ricca collezione di discorsi da manuale dispensati in questi mesi da Conte. C’è un ma: quando arriverà il momento di passare ai fatti?