Quarant’anni dopo Ustica: ottantuno vittime, zero colpevoli
27 Giugno 2020L’Italia è un Paese al quale un tappeto non è sufficiente per nascondere la polvere ultradecennale accumulatasi. Sono oggi passati quarant’anni dalla strage di Ustica. Non ci sono ancora colpevoli, soltanto vittime.
Aeroporto Guglielmo Marconi, Bologna, 27 giugno 1980. In programma, fra i tanti, il volo IH870 Bologna-Palermo, aereo “Douglas DC-9”. Sono le 20:08, due ore dopo l’orario di partenza previsto. L’arrivo a Palermo Punta Risi era previsto per le 21:15. Il DC-9 viaggia regolarmente, a una quota di circa 7.500 metri, con a bordo 81 persone (64 passeggeri adulti, 11 ragazzi fra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini d’equipaggio). E continua a farlo fino alle 20:59, quando la torre di controllo di Ciampino tenta invano di contattare il comandante del velivolo, Domenico Gatti; è sparito dai radar. Alle 21.21 il centro di Marsala avverte il centro operazioni della Difesa aerea di Martinafranca del mancato arrivo a Palermo dell’aereo. Alle 21.55 decollano i primi elicotteri per le ricerche. Alle 7.05 del 28 giugno vengono avvistati i resti del DC9 nelle acque di Ustica, isoletta siciliana. Le operazioni di ricerca proseguono fino al 30 giugno: vengono recuperate 39 salme, il cono di coda dell’aereo, svariati residui e alcuni bagagli delle vittime. I resti del DC9, ritrovati nel mar Tirreno a oltre 3000 metri di profondità, sono stati ricomposti in un “Museo della memoria” a Bologna, dedicato alla strage.
Ma cosa è successo in quegli attimi? Di ipotesi concorde nemmeno l’ombra. Si è parlato di cedimento strutturale, di bomba a bordo, collisioni. Nulla, tutto troppo brumoso. Ad annebbiare il tutto, il ritrovamento di un MiG-23 libico (aereo da caccia). Le ultime parole pronunciate dal copilota Enzo Fontana (rinvenute dalla scatola nera del mezzo) «Guarda, cos’è?» sembrano avvalorare la tesi dell’abbattimento. Le indagini procedono a rilento: solo il 16 marzo 1989 il primo collegio peritale, nominato nel novembre 1984, a quattro anni dalla tragedia, consegna al giudice istruttore Bucarelli la sua relazione. I sei periti che compongono il collegio rilasciano alla stampa una breve dichiarazione: «Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l’incidente occorso al DC9 sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo. Allo stato odierno mancano elementi sufficienti per precisarne il tipo, la provenienza e l’identità». Nei primi mesi del 1994 vengono resi noti i risultati delle perizie ordinate dal Giudice Priore. Queste perizie parziali, che dovrebbero essere le fondamenta della perizia conclusiva, escludono l’esplosione di una bomba a bordo: non ci sono tracce di esplosione sui cadaveri, non ci sono segni di «strappi» da esplosione sui metalli, le analisi chimiche non danno spazio all’ipotesi di una bomba e anche gli esperimenti e le simulazioni di scoppio danno risultati negativi. Invece, alla fine del luglio 1994 gli stessi periti si pronunciano per la bomba, anche se poi non sanno dire come era fatta, né dove era collocata. Le indagini si focalizzano quindi sulla situazione radar, e per capire la situazione di un cielo che si vuol far credere vuoto da ogni presenza di aerei militari si chiede anche la collaborazione della Nato. A fine agosto del 1999, il giudice Rosario Priore concludendo la più lunga istruttoria della storia giudiziaria del nostro Paese può sentenziare «l’incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento”. Nell’ottobre del 2000 inizia il processo davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma contro i vertici dell’Aeronautica che nell‘aprile 2004 vengono assolti per prescrizione; si riconosce comunque che hanno omesso di riferire alle autorità politiche i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino. Nel maggio 2008 l’inchiesta viene riaperta dalla magistratura. La Corte d’Appello di Roma,con una sentenza pubblicata il 22 aprile 2020, ha condannato i dicasteri di Difesa e Trasporti a pagare 330 milioni di euro a Itavia per non aver garantito la sicurezza dei cieli.
Francesco Cossiga, al tempo Presidente del Consiglio dei ministri, nel 2009 spiegò che i servizi segreti italiani lo informarono, così come fecero con l’allora sottosegretario Giuliano Amato, che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un missile non ad impatto, ma a risonanza. “Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo”. Tracce del missile, del resto, sui resti del DC-9, nelle diverse analisi compiute, non sono mai state rinvenute.
A oggi, abbiamo delle ipotesi, ottantuno vittime e zero colpevoli. Esattamente come quarant’anni fa. Sarebbe il caso che qualcuno, prima o poi, sollevasse quei tappeti.