Lo smart working e il diritto alla disconnessione

Lo smart working e il diritto alla disconnessione

11 Giugno 2020 0 Di Arianna Bruno

La rivoluzione digitale e tecnologica era già entrata prepotentemente nella nostra società e nel mondo del lavoro, oggi ancor di più, a seguito dell’emergenza pandemica con il conseguente lockdown che ha reso necessaria l’attivazione dello smart working. 

Difatti, mediante l’uso di smartphone, cellulari, e-mail, altri sofisticati mezzi tecnologici , si corre il rischio che il lavoratore non abbia più la possibilità di fruire del proprio tempo libero senza l’invasiva presenza del proprio datore di lavoro.

L’utilizzo di questi strumenti di collegamento, in tempo reale, tra datore di lavoro e dipendente può presentare un danno per il lavoratore, perché se da un lato consente certamente una flessibilizzazione della prestazione lavorativa in quanto permette ad esempio di lavorare anche in un luogo diverso da quello dell’azienda, dall’altro porta con sé il rischio di essere sempre connessi e reperibili sul lavoro. Tanto è vero che si è discusso dell’overworking, ossia il rischio di lavorare da casa e di oscurare la vita privata, dal momento che non vi è una linea di demarcazione tra la vita privata e il proprio lavoro.

Lo smart working, dunque, mette in evidenza sia elementi positivi come la maggiore motivazione legata alla notevole indipendenza riconosciuta al prestatore di lavoro, la riduzione delle problematiche connesse al pendolarismo e la possibilità di potersi organizzare nel miglior modo che si ritiene.

D’altro canto, però, vi sono anche numerose perplessità, che vanno ricercate nella sfera psicologica del lavoratore, ossia il senso di solitudine che ne può conseguire, dal momento che lavorare in ufficio è , anche, un momento di crescita culturale, giacchè con i propri colleghi ci si può confrontare, scambiare idee, condividere competenze e possibili soluzioni alle varie problematiche, oltre che instaurare rapporti sociali con i vari collaboratori e clienti.
A fortiori, in una recente ricerca “The Effects of Digitalization on Employment” dell’Istituto per la Ricerca Economica di Colonia, pone una riflessione fondamentale, anche dal punto di vista della salute, tanto è vero che sostiene l’aumento dello stress con conseguenti difficoltà del sonno, oltre che incide sui problemi fisici e alla vista, derivanti dall’utilizzo eccessivo di strumenti tecnologici.

A seguito di questo fenomeno , che negli anni è aumentato sempre di più, fino ad essere centrale a causa della pandemia, nasce e si diffonde il diritto alla disconnessione, la cui espressione indica proprio il diritto a non utilizzare le apparecchiature che connettono costantemente e senza soluzione di continuità il lavoratore alla propria prestazione lavorativa.

Sul tema, la Francia è stata avanguardia, tanto è vero che nel 2016 si è discusso ed approvato il “Loi du Travail”, che prevede espressamente per le aziende con un numero di dipendenti superiore a 50 si impegnino, tramite accordi interni, a regolamentare il tempo libero, ossia quello “offline” del proprio personale dipendente e prevede, altresì, che al dipendente non possano essere inviate e-mail, comunicazioni, messaggi o telefonate al di fuori dell’orario di lavoro.
Altresì, la discussione è stata affrontata anche in Italia, nonostante non vi è un riferimento normativo specifico come avvenuto altrove, bensì è attualmente presente nella legge n. 81 del 2017 sul Lavoro Agile, che prevede testualmente: “nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.

La norma di riferimento sullo smart working in Italia prende in considerazione l’evoluzione alla quale stiamo assistendo nel mondo del lavoro. La ragione è che introduce una concezione nuova del lavoro subordinato, dove i vincoli spaziali e temporali non contano, ma è importante solo il raggiungimento di specifici obiettivi.
La differenza è che nell’ordinamento francese la disconnessione è qualificata espressamente come un diritto, una simile previsione non c’è nel sistema italiano.

Tanto è vero che, con l’attuale legiferazione ha regolamentato sia l’orario di lavoro, ossia l’utilizzo di dispositivi tecnologici non può comportare una operatività del lavoratore che non lasci spazi alla sua vita privata, dal momento che anche per gli smart worker valgono quindi i limiti temporali individuati dalla norma di riferimento il Decreto Legislativo n.66/2003 e della Contrattazione Collettiva, sia la totale equiparazione tra i lavoratori agili e i loro colleghi che svolgono le attività con modalità ordinarie. Oltre, alla normativa in materia di salute e sicurezza, anche il trattamento normativo e retributivo sarà quindi lo stesso.

La novità della Legge n.81/2017 rispetto al passato è proprio una sorta di riconoscimento di un vero e proprio diritto alla disconnessione, anche se la norma prevede l’accordo bilaterale tra le parti, piuttosto che di un diritto tutelato a priori.

Tuttavia, nonostante si tratti di un tema giovane, la disconnessione ha già conosciuto alcune esperienze applicative, dove cioè è stata regolamentata attraverso accordi collettivi aziendali.

Un esempio può essere l’accordo siglato tra la Barilla e le organizzazioni sindacali il 2 marzo 2015, in cui sebbene non si faccia espressamente riferimento alla disconnessione, è però previsto che lo svolgimento della prestazione lavorativa deve avvenire nel normale orario di lavoro della sede di appartenenza e che durante lo svolgimento dello Smart working, nell’ambito del normale orario di lavoro, la persona dovrà rendersi disponibile e contattabile tramite gli strumenti aziendali, a conferma del fatto che la disconnessione dovrebbe essere garantita in tutto l’arco temporale che eccede tale orario.

Ancora, è dirimente prendere in considerazione l’accordo che ha realizzato Enel nel 4 aprile 2017, con cui si precisa che il lavoro agile rappresenta una mera variazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa, e non dell’orario di lavoro. Ne consegue che il il dipendente è tenuto ad essere a disposizione del datore di lavoro durante l’orario di lavoro e, pertanto, in quel periodo di tempo deve essere contattabile dal suo responsabile tramite gli strumenti tecnologici messi a sua disposizione.

Orbene, risulta dirimente una riflessione chiara e puntuale sul rapporto tra le nuove tecnologie e la salvaguardia dei diritti fondamentali del cittadino, dal momento che potrebbe avere delle ripercussioni sostanziali nella società, qualora si legiferasse senza una visione ampia della democrazia digitale. In particolar modo, per quanto riguarda il mondo del lavoro e il tema dello smart working, in relazione sia al diritto alla disconnessione, che all’overworking.

Difatti, si ritiene dirimente la realizzazione di un ampliamento o di un nuovo statuto dei lavoratori, dato che in queste settimane l’Italia ha fronteggiato l’emergenza dal punto di vista occupazionale con l’utilizzo dello smart working , laddove era possibile e, nonostante, i benefici di tale modalità sono molteplici e si possono misurare in termini di miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e dei costi per gli spazi fisici. Come si è già detto in precedenza vi sono anche numerose problematiche e, pertanto, non può essere affrontato suddetta tematica, con superficialità e senza una visione tout court del rapporto tra innovazione tecnologica e le tutele fondamentali del cittadino.

di Carlo Conte