Scenari post-emergenza: nuove regole per il Paese?

Scenari post-emergenza: nuove regole per il Paese?

28 Aprile 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Il 2020 lo leggeremo sui libri di storia, in quanto anno decisivo per un possibile cambiamento del sistema istituzionale del nostro Paese e non solo.

In questi mesi sono stati messi in luce, in maniera alquanto evidente, tutte le conseguenze delle scelte più importanti avvenute negli anni 90’ e all’inizio del nuovo millennio dal punto di vista economico e politico.

ANNI NOVANTA E RIFORMA DEL TITOLO V

Per quanto riguarda il piano politico-istituzionale nazionale, alla fine degli anni 90’ si è stravolto l’intero sistema politico-rappresentativo dell’Italia, a causa di una forte crisi del sistema partitico.
Si ebbe la eliminazione dei partiti tradizionali, in favore di nuove compagini partitiche, dal momento che la caduta del Muro di Berlino aveva modificato l’intero impianto geo-politico ed ideologico internazionale. Tanto è vero che si avviò un forte dibattito costituzionale e politico, che riguardava un mutamento dell’impianto istituzionale centralizzato, a favore di un decentramento del potere decisionale nel Paese, cosiddetto regionalismo.

Ci fu un periodo riformatore dell’architettura istituzionale del nostro Paese, con il quale si iniziò ad immaginare uno Stato suddiviso in diversi piccoli Stati, i quali avevano competenza legiferativa in materie esclusive e concorrenziali.

Suddetto progetto riformatore iniziò con la Legge del 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa e si completò con la riforma costituzionale la 3/2001, con la quale si concesse alle Regioni diverse competenze esclusive su materie importanti, come ad esempio Sanità e Turismo, che venivano sottratte al Governo centrale, mentre diverse altre materie furono concorrenziali , così come stabilisce l’art. 117 Cost.

La riforma del titolo V della Parte II della Costituzione costituisce la più grande riforma costituzionale finora approvata dall’entrata in vigore della stessa: essa trasforma in radice tutto l’assetto del governo territoriale, e sovverte i tradizionali rapporti tra centro e periferia.

 

I LIMITI DEL REGIONALISMO

Il fenomeno pandemico, di queste settimane, ha fatto emergere i limiti del regionalismo, in quanto gli enti locali sono diventati dei piccoli Stati, che in nome dell’autonomia conferitagli, procedono nella gestione dei propri territori senza alcun raccordo con il Governo centrale e con le altre Regioni.

Orbene, vi è un forte squilibrio tra il governo centrale che è nettamente debole, dal momento che non avendo alcun collegamento proficuo con il popolo, come avveniva dal dopoguerra in poi, attraverso i corpi intermedi che realizzavano una relazione tra le istanze del cittadino e le decisione del rappresentante. Oggi, invece, con l’istituzione dei governi regionali che hanno un’ investitura presidenzialistica, diretta e popolare, indeboliscono notevolmente l’azione del governo e fanno prevalere la propria autonomia senza lavorare ad un coordinamento concreto tra i poteri dello Stato.

Sarebbe meglio, invece, ripensare all’architettura dello Stato, ipotizzando magari un’abolizione delle Regioni o quantomeno realizzare delle macro-Regioni (Nord-Centro-Sud), le quali dovrebbero avere un ruolo di coordinamento strategico e di crescita delle aree vaste e, di conseguenza, accentrare alcune competenze al Governo, come ad esempio il sistema sanitario, mentre, individuando nuovamente delle materie da affidare le competenze gestionali alle Province e ai Comuni, come l’edilizia scolastica, le politiche agricole connesse alla gestione dei fondi europei, e l’urbanistica, dal momento che sono gli enti prossimi alle comunità e favorirebbero una miglior gestione delle risorse, senza che vi sia alcuna competenza legislativa in merito.

Pare evidente che per riformare lo Stato dal punto di vista istituzionale serva però immaginare nuovamente anche l’architettura politica e partitica di un Paese. Cresce sempre di più l’esigenza di avere dei luoghi fisici o virtuali in cui poter realizzare quella cittadinanza attiva, tante volte invocata, ma soprattutto non può essere demandata al sistema scolastico la formazione politica ed ideologica di un cittadino.

Si ritiene fondamentale creare nuovamente, nelle forme più opportune ed idonee alla società moderna, soggetti che siano capaci di formare anche culturalmente il cittadino, così com’è avvenuto nella seconda metà del Novecento.
Ripensare ad una intermediazione della società è dirimente per la crescita dell’Italia, dal momento che significa formare sia un popolo consapevole, sia “ quadri dirigenti”, concetto molto caro alla cosiddetta Prima Repubblica, i quali possano teorizzare e traghettare l’Italia verso una crescita politica ed economica interna ed in ambito Europeo – Internazionale.

QUALI SCENARI DOPO L’EMERGENZA?

L’emergenza sanitaria ha messo in evidenza suddette problematiche e, allo stesso tempo, ha posto in essere delle possibili basi per rimodulare e migliorare le scelte fatte negli ultimi vent’anni, le quali si fondavano su due paradigmi, ossia il Neo-Liberismo e la Globalizzazione, anche quest’ultimi in netta difficoltà, dato che non si potrà fronteggiare la crisi economica mondiale da Covid-19 senza un intervento sostanzioso dello Stato (soluzione che è fortemente osteggiata dai sostenitori del paradigma economico e sociale neo-liberale).

In tal senso il ruolo di fondazioni, associazioni, organismi giovanili e studenteschi dovrebbe essere quello di sollecitare ed accompagnare i rappresentanti politici ed istituzionali del Paese ad affrontare questa grande riforma del nostro sistema democratico ed istituzionale, al fine di poter fronteggiare nel miglior modo possibile le sfide durissime che avremo di fronte, dal momento che non si potranno superare le problematiche odierne senza una pluralità di visioni, anche differenti tra di loro, della società che verrà.

di Carlo Conte