Salviamo il 25 aprile dalla semplificazione
25 Aprile 2020Gli anniversari rappresentano sempre un’occasione di riflessione. Soprattutto se sono chiamati a farci ricordare eventi che hanno segnato la storia del Paese e che ne hanno plasmato, nel bene o nel male, la fisionomia.
Il 25 aprile, in tal senso, non fa eccezione: la sua importanza nella recente storia italiana non la si può negare né sminuire.
Celebrare la Liberazione significa celebrare la vittoria dell’antifascismo sul nazifascismo, responsabile di una guerra folle che ha insanguinato un intero continente e stravolto gli equilibri mondiali. Un conflitto che ha messo a rischio la tenuta stessa dell’Italia, divenuta uno dei principali terreni di scontro fra gli opposti schieramenti, e che ha scatenato l’attivismo di un antifascismo militante che attendeva solo l’occasione propizia per ribaltare i rapporti di forza dopo un ventennio di clandestinità ed esilio. Gli uomini e le donne della Resistenza, che senza il supporto fondamentale del contingente alleato non avrebbero mai potuto dare il colpo di grazia definitivo all’esercito tedesco (responsabile, fino ai suoi ultimi giorni, di efferati eccidi sul territorio italiano) ed a quel che restava del contingente militare ancora legato a Mussolini, ebbero un ruolo centrale nel riprendere in mano le redini di una Paese allo sbando, provando sin da subito ad arginare, con alterne fortune, le ingerenze straniere soprattutto per quel che concerne il futuro assetto istituzionale dell’Italia.
Questa, che a qualche nostalgico piaccia o meno, è la verità storica.
A 75 anni da quel fatidico aprile 1945, però, l’impressione è che prevalga sempre più la volontà di preferire le semplificazioni alla complessità: una tendenza che porta a guardare i fatti con le lenti del tifoso (vedi la retorica sul “sangue dei vinti”) e non con quelle dell’osservatore attento e consapevole.
Da un lato, le nuove narrazioni nazional-populiste hanno minimizzato (se non svuotato del tutto) il significato delle celebrazioni della Liberazione, dando sfogo, senza che questo crei imbarazzo presso una parte di popolazione, a sentimenti reconditi che in un’altra epoca storica non sarebbero mai stati resi palesi e che hanno portato finanche a negare il valore emotivo di un canto popolare come «Bella Ciao».
Dall’altro, l’eccessivo dogmatismo della sinistra più ortodossa ha creato dei simboli senza contenuto che, con il progressivo spegnersi dei testimoni diretti, ha prodotto una semplificazione della Resistenza e del suo essere un fenomeno storico complesso ricco di eroismo ma anche di inevitabili e naturali contraddizioni.
Di qui la necessità di ricorrere alla complessità quale condizione per ridonare realmente un carattere condiviso a quei venti mesi che hanno cambiato l’Italia restituendole le libertà negate da vent’anni di regime e ponendo le basi per la creazione di una repubblica democratica.
Per comprendere appieno il senso di questa complessità bisogna ricorrere ad un bellissimo libro dello storico Giovanni De Luna: “La Resistenza Perfetta”, scritto in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione.
«In quei giorni, preti e partigiani, monarchici e comunisti, soldati del Sud e ufficiali dell’aristocrazia sabauda – scrive lo storico – travolsero antiche barriere ideologiche e sociali, superarono ragioni di storiche “esclusioni”, dando vita a una realtà in cui tutti sembrava nitido e riconoscibile: il male stava nel passato, nei fascisti e nei nazisti che si ostinavano a perpetuarlo; il bene stava nel futuro che tutti insieme, per una volta compiutamente italiani, si voleva costruire».
Per salvare il 25 aprile dall’oblio e dal patriottismo di comodo dobbiamo ricominciare da qui.
di Alessandro Mazzaro
Direttore Responsabile CreaSud