Lo sviluppo del Mezzogiorno: il capitale umano e l’innovazione
28 Luglio 2020Fin dalla sua nascita, il nostro Paese vive una condizione di divario che con il passare degli anni si è affermata come caratteristica strutturale dell’economia e della società italiana, esiste e resiste la Questione meridionale. Al contrario di quanto si possa pensare, sono le nuove generazione ad aver vissuto la fase più buia del dibattito sullo sviluppo del Mezzogiorno. Un’epidemia che ha colpito anche il dibattito pubblico, il cui paradigma è stato rovesciato: non sono più le aree forti a sfruttare le aree più deboli, ma proprio queste ultime, attraverso le politiche redistributive, a sfruttare le aree forti. Tutta l’Italia e il Sud in particolare soffrono di una bassa crescita della produttività. Per contrastare questa tendenza occorre rafforzare la capacità innovativa e tecnologica, anche accrescendo e valorizzando il capitale umano.
Nel Mezzogiorno la quota dei giovani con età tra i 20 e i 24 anni che hanno completato le scuole superiori è del 76,8%, contro l’83,5% nel Centro Nord; è minore la quota di adulti che partecipano ad attività formative e di istruzione. Gli atenei del Mezzogiorno, che soffrono di una limitata capacità contributiva delle famiglie e di una bassa disponibilità di finanziamenti privati sul territorio, negli ultimi anni hanno registrato un calo del numero di studenti; al dato demografico negativo si è aggiunta una accentuazione dei flussi migratori verso il Centro Nord: un quarto dei diplomati del Mezzogiorno sceglie di studiare altrove, anche alla ricerca di migliori possibilità di lavoro una volta laureati.
È cruciale agire per colmare questi ritardi. Nella scuola primaria e secondaria le valutazioni dell’Invalsi possono essere utilizzate per interventi rivolti alle scuole in difficoltà, che nel Mezzogiorno sono più frequenti. Bisogna rafforzare le strutture di ricerca e la qualità del sistema universitario, a beneficio dell’intero sistema sociale e produttivo meridionale. Una politica che investa sul sistema universitario nazionale, sotto finanziato rispetto al resto d’Europa, potrebbe prevedere una specifica dotazione per gli atenei del Sud senza rinunciare a qualità ed efficienza ma ripartendo i fondi secondo i criteri dei costi standard e premiali già in parte in uso. Interventi dal lato dell’offerta di istruzione sono efficaci se associati a una maggiore richiesta di lavoratori istruiti da parte delle imprese. Anche la nascita di imprese può concorrere a creare lavoro. Dal 2012 sono state varate misure in favore delle nuove aziende innovative. Esse si sono rivelate efficaci sia al Sud sia nel Centro Nord: delle 10.000 start up innovative iscritte nell’apposito registro del Ministero dello sviluppo economico e attive alla fine dell’anno scorso, un quarto era localizzato nel Mezzogiorno ed era concentrato nella manifattura, nell’informatica, nella ricerca. Queste imprese hanno registrato incrementi di fatturato e investimenti in linea con quelli delle analoghe aziende del Centro-Nord.
La legge di bilancio per il 2019 ha introdotto ulteriori incentivi fiscali per chi investe in start-up innovative. Lo sforzo va nella giusta direzione: serve garantire risorse adeguate e continuità di azione, in particolare al Sud. Misure credibili, di ampia portata possono limitare la fuoriuscita di capitale umano dal Sud verso il Nord e l’estero. Come mostra un recente lavoro, vi sarebbero effetti positivi sull’imprenditorialità, soprattutto nei settori tecnologicamente avanzati. Un nodo da sciogliere per stimolare lo sviluppo del Mezzogiorno riguarda il finanziamento delle imprese. Le aziende meridionali sono altamente indebitate e dipendenti dal credito: la loro quota di prestiti bancari sul totale delle passività finanziarie è del 70%, a fronte del 50% nel Centro Nord. Queste caratteristiche limitano la capacità di crescere, investire, creare occupazione. Per le imprese del Sud l’accesso al mercato creditizio è meno agevole che nelle altre aree del Paese: la quota delle aziende che dichiarano di non ottenere i finanziamenti richiesti è più alta rispetto al Centro Nord. Anche il costo del credito è più elevato al Sud: il divario medio è di 1,6 punti percentuali, con valori più alti per le aziende minori. La fragilità finanziaria, la dipendenza dalle banche, la difficoltà di accesso al credito riflettono caratteristiche sia delle singole imprese sia del sistema economico meridionale.
Tra le prime rilevano la minore dimensione e la limitata dotazione patrimoniale; quanto al contesto locale, pesano le inefficienze delle istituzioni quali la giustizia civile che tutelano il rispetto dei contratti. L’insieme di questi fattori riduce anche l’accesso al finanziamento diretto degli investimenti. Negli anni scorsi l’indisponibilità di risorse alternative al credito ha aggravato la recessione e frenato la successiva ripresa dell’economia meridionale: quando la crisi ha provocato una restrizione dell’offerta di prestiti bancari, le imprese del Sud al contrario di quelle del Centro Nord non sono state in grado di far ricorso al mercato dei capitali. Per favorire l’accesso ai finanziamenti esterni occorre ridurre il grado di rischio cui gli operatori devono far fronte quando investono nel Mezzogiorno. Ciò richiede l’impegno degli stessi imprenditori al fine di conferire trasparenza ai bilanci, di aprirsi al vaglio da parte di soggetti esterni.
Va rafforzata la base patrimoniale, segnalando per questa via la fiducia dello stesso imprenditore nella solidità dell’azienda. Un impulso rilevante è stato fornito dagli incentivi fiscali all’aumento dei mezzi propri la cosiddetta ACE. La legge di bilancio sul 2019 ha cambiato le modalità di incentivazione, legando i benefici agli utili non distribuiti. Il nuovo schema è meno vantaggioso per le imprese del Mezzogiorno, caratterizzate da bassa redditività. L’efficacia al Sud delle misure che legano il beneficio fiscale al rafforzamento del capitale di rischio potrebbe essere migliorata prevedendo maggiori vantaggi fiscali per le aziende più piccole.
Per quanto riguarda invece il mercato creditizio nell’ultimo decennio gli intermediari con sede al Sud di dimensioni ridotte e in buona parte banche popolari hanno fortemente risentito della crisi. Un loro consolidamento potrebbe consentire di realizzare economie di scala e di diversificazione e di mettere a fattor comune le conoscenze sull’economia reale. L’obiettivo non deve essere quello di ricreare “banche del territorio”, i cui limiti sono apparsi evidenti con la crisi. La sfida è dar vita a intermediari coinvolti nelle sorti dell’economia meridionale ma operanti alla frontiera dell’efficienza, in grado di far ricorso alla tecnologia e di fornire alle imprese del Sud in concorrenza con altre banche una adeguata assistenza creditizia e finanziaria. Un loro consolidamento potrebbe consentire di realizzare economie di scala e di diversificazione e di mettere a fattor comune le conoscenze sull’economia reale.
L’obiettivo non deve essere quello di ricreare “banche del territorio”, i cui limiti sono apparsi evidenti con la crisi. La sfida è dar vita a intermediari coinvolti nelle sorti dell’economia meridionale ma operanti alla frontiera dell’efficienza, in grado di far ricorso alla tecnologia e di fornire alle imprese del Sud in concorrenza con altre banche un’adeguata assistenza creditizia e finanziaria. L’insieme di questi fattori riduce anche l’accesso al finanziamento diretto degli investimenti. Negli anni scorsi l’indisponibilità di risorse alternative al credito ha aggravato la recessione e frenato la successiva ripresa dell’economia meridionale: quando la crisi ha provocato una restrizione dell’offerta di prestiti bancari, le imprese del Sud – al contrario di quelle del Centro Nord non sono state in grado di far ricorso al mercato dei capitali. Il ritardo economico del Mezzogiorno è al tempo stesso inaccettabile e ingiustificabile.
Inaccettabile perché non consente a un terzo della popolazione italiana di godere appieno di diritti, opportunità, prospettive che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini. La mancanza di lavoro sta inducendo persone giovani e preparate a emigrare, con costi economici e sociali che condizionano le prospettive di crescita e di progresso. Ingiustificabile perché le ricchezze culturali, ambientali, di capacità produttive inespresse presenti nel Mezzogiorno possono e devono essere utilizzate per il rilancio dell’economia dell’intero Paese. Lo sviluppo dell’economia meridionale offrirebbe un mercato di sbocco e la crescita per le produzioni di altre aree, avviando un circolo virtuoso di investimenti e crescita sia al Sud sia al Centro Nord. Il raggiungimento di questi obiettivi è possibile. Vi sono azioni di politica economica incentrate sugli investimenti pubblici, sulla fiscalità e sul costo del lavoro, sull’innovazione, sul potenziamento del capitale umano, sulla valorizzazione dell’ambiente in grado di collocare il Mezzogiorno su un più elevato sentiero di sviluppo. Queste azioni richiedono il buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche, a ogni livello di governo. Soprattutto, richiedono che sia sradicato l’inaccettabile “triangolo illegale”, evasione, corruzione, criminalità: la sicurezza e il rispetto delle norme civili, penali, fiscali sono prerequisiti irrinunciabili per la crescita e il progresso sociale. Per ricostruire un Mezzogiorno attrezzato a ricevere e accogliere di nuovo il vento della storia, bisognerebbe effettuare investimenti e un rilancio del dialogo euro-mediterraneo in una cornice di aumento complessivo dei servizi offerti alla cittadinanza.