Lo studio del settore Moda in Italia e in Europa e le implicazioni post-Covid

Lo studio del settore Moda in Italia e in Europa e le implicazioni post-Covid

21 Luglio 2020 0 Di Alessandro Mazzaro

Il settore moda è il protagonista degli e-commerce di tutto il mondo e, in particolare, la moda Made-in-Italy ne è il fiore all’occhiello, specialmente in Europa. Se infatti in Italia nel 2015 la moda ha realizzato vendite online per 2,1 miliardi di euro, con un aumento del 19% e rappresentando il 9% del fatturato totale della vendita online, in Europa i dati sono ancora più positivi. Nei paesi europei dove i limiti tecnologici non sono presenti, il settore fashion Made-in-Italy è infatti l’acquisto principale tra tutti i beni italiani esportati online. I dati provengono da Osservatori.net e da Kom.online e indicano un aumento esponenziale delle vendite per tutto l’anno 2015.

L’abbigliamento e le calzature rappresentano nell’export online oltre 3,9 miliardi di euro di vendite e il 65% delle transazioni totali, un volume ancora più importante del food e del design. La spesa media annuale per utente in Europa è pari a 569 euro, mentre in Italia si scende a 295 euro: questo dato conferma quanto vendere online in Europa i propri prodotti tessili sia redditizio.

Dagli stessi dati emergono 3 tendenze fondamentali da riconoscere nell’export europeo, rispetto a quello italiano; tutte e 3 evidenziano quanto una buona preparazione, un sito adatto e competenze adeguate possano fare la differenza tra un e-commerce di moda made-in-Italy di successo e uno da scarsi risultati.

Nel 2015 sono stati 5,8 milioni i compratori da tutti i paesi d’Europa che hanno importato online beni dall’Italia, in particolare, della moda italiana.
Il tasso di conversione europeo è alto. Mentre in Italia il tasso di conversione all’acquisto dei visitatori che visitano i siti Internet è infatti pari allo 0,9%, contro una media dell’1,96% che vede in testa il Regno Unito (2,6%). Mentre in Italia su 100 visitatori 1 compra, all’estero questa cifra raddoppia.

L’abbigliamento per donna made-in-Italy occupa il 41% degli acquisti fashion all’estero, eseguiti tramite canali e-commerce italiani di export. Il target femminile allo stato attuale si conferma quindi il più interessante.
Il risultato fondamentale che emerge da questi dati è che, dove i limiti tecnologici non sono presenti e le competenze adeguate vengono utilizzate, si ha un aumento sostanziale delle vendite online, soprattutto di prodotti d’export Made-in-Italy.

L’intero sistema della moda conta circa 82 mila imprese attive, di cui 20.559 in ambito pelletteria (25%), 45.882 in ambito abbigliamento (56%) e 15.493 in ambito tessile (19%). Nei primi mesi del 2019 il settore sta registrando una tendenza del +3,5%, positivo ma un po’ sottotono se paragonato alle altre nazioni europee.

L’Europa ha realizzato un tasso medio annuo di incremento del fatturato del 7,4% dal 2013 ad oggi. In questo contesto spiccano Danimarca (+13,6%) e Spagna (+10,1 %), uniche ad andare in doppia cifra. Sotto la media europea Regno Unito (+5%) e Italia (+3,5%). In calo la redditività, con l’EBIT margin (indicatore di redditività) europeo che si attesta a quota 15,3 per cento nel 2017 (era al 17 per cento nel 2013). Anche qui sono i gruppi danesi (22,6 per cento nel 2017) a dominare la classifica, seguiti stavolta dalle compagnie francesi (19,6 per cento).
Con circa 500 mila occupati (+0,3% rispetto al 2016), l’industria della moda è il secondo settore manifatturiero in Italia dopo le attività metallurgiche.

Uno dei pilastri dell’economia nazionale, é il tessile, con oltre 78 miliardi di euro di fatturato, ha generato nel 2018 più di 51 miliardi di euro dal commercio con l’estero, registrando un +8% rispetto all’anno precedente. Le imprese attive nel settore tessile sono circa 15.500, concentrate prevalentemente nelle aree del Centro e del Nord-Est. Il settore tessile ha un ruolo primario per l’intera filiera: il comparto, infatti, incide per il 26,7% sul valore della produzione moda, per il 27% sul fatturato totale e per circa il 20% sull’export tessile-abbigliamento complessivo. Tra le imprese tessili attive in Italia, la maggior parte è impegnata nella fabbricazione di tessuti confezionati (32,5%) e nella finitura di tessuti (14,9%): un sistema che impiega circa 17mila addetti, con un giro d’affari di oltre 20 miliardi di euro. Anche il tessile per l’arredo-casa cresce oltre confine, con un andamento del +2,3%. Nel caso della parte più alta della filiera, i noti marchi italiani mantengono una crescita produttiva e di fatturato positiva, fortemente condizionata dalle vendite all’estero che sono in grado di raggiungere. In primis l’Alta Moda italiana si conferma al top nel mercato internazionale. La miglior performance risulta realizzata dalla calzetteria, il cui export vede un aumento del +4,4%; segue la maglieria, in crescita del +3,5%. L’abbigliamento confezionato invece totalizza un incremento pari al +2,6%. Con riferimento al solo abbigliamento, le stime prevedono un sensibile aumento delle vendite al dettaglio nel mercato globale (a 2.600 miliardi di dollari nel 2025 dai 1.685 miliardi di dollari nel 2015). Le proiezioni confermano che i paesi a maggior potenziale di crescita per vendita all’estero dell’abbigliamento sono Cina e India, seguiti da Brasile e Russia. Le principali destinazioni dell’export Moda made in Italy sono Germania e Francia, primo e secondo mercato di riferimento e che presentano rispettivamente un incremento del +2,8% e del +0,9%. A seguire, in terza posizione, troviamo il Regno Unito, che registra una crescita vivace nella misura del +5,3%.

Tra i punti di forza della filiera Moda made in Italy c’è l’attenzione sempre più marcata alla sostenibilità. Un tema decisivo per il futuro della moda in generale, che è la seconda industria più inquinante al mondo. La filiera italiana ha avuto il merito degli ultimi anni di dimostrare impegno nella riduzione dell’impatto ambientale e nell’introduzione di nuovi metodi di lavorazione meno inquinanti anche a monte della filiera. Lo confermano, soprattutto, i dati:  se il 2019 è stato, ed è, un anno difficile per il settore moda -  il fatturato, dopo un primo trimestre a crescita zero, ha ripreso timidamente ad aumentare (+0,3%) – secondo i Fashion economic trends diffusi da Camera moda, nel primo semestre l’export ha messo a segno un +7,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il sostegno al settore moda (tessile, abbigliamento, pelle, pelletteria) che chiuderà il 2019 in sostanziale stabilità a 66,8 miliardi di ricavi – ma che nella sua versione “allargata” a occhiali, gioielli e cosmetici tocca gli 89,5 miliardi di euro – arriva, dunque, dai mercati stranieri. In un contesto volubile come quello attuale, esposto a diverse fonti di instabilità (dalla guerra commerciale Usa-Cina alla situazione petrolifera in Arabia Saudita), ci sono conferme e alcune novità. Secondo i Fet, elaborati su dati Istat, tra gennaio e giugno 2019 il primo mercato della moda made in Italy è stata la Svizzera, l’export verso la Svizzera è salito del 54,6% nei sei mesi, attestandosi poco sotto i 4 miliardi di euro. Al secondo posto vi è la Francia, in crescita dell’8,2% a 2,9 miliardi di euro, e la Germania che, invece, conferma il periodo “negativo” con un -2,5 per cento. I Fashion economic trends evidenziano anche le performance positive degli Stati Uniti (+8,9%), che starebbero registrando un rimbalzo dopo un 2018 piuttosto freddo, del Regno Unito (+7,7%) dove si continuano a fare “scorte” in attesa di decisioni sulla Brexit. Bene anche Cina (+6,3%) e Giappone (+8,4%) entrambi nella top 10 dei clienti internazionali della moda made in Italy. Interessanti sono anche le performance relative ai cosiddetti “settori collegati”: occhiali, gioielli e cosmetica nei primi sei mesi hanno avuto particolare successo negli Usa (+14,3%) e in Francia (+15,9%), rispettivamente primo e secondo mercato, ma anche Hong Kong (+16,7%) e gli Emirati Arabi (+14,9%) che, a fronte di un momento economico non particolarmente roseo, si preparano a Expo Dubai 2020. Il dinamismo del commercio con l’estero che ha caratterizzato il periodo gennaio-giugno 2019 viene confermato anche dai dati elaborati dal centro studi di Confindustria Moda e diffusi da Pitti Immagine in occasione dell’apertura del salone Super: tra gennaio e giugno 2019 le esportazioni di moda donna un segmento che include maglieria esterna, camiceria, pelle, vestiario esterno e assorbe il 24,3% (13,3 miliardi) del fatturato dell’intera filiera sono salite del 6,6% sul 2018 toccando i 4,4 miliardi di euro.

Tornando indietro di dodici mesi, il primo semestre 2018 si concludeva con un aumento del 2,4%. La crescita, stando alle elaborazioni di Confindustria moda, è più equilibrata tra le aree Ue (+6,1%) ed extra Ue (+7,2%), che assorbono sostanzialmente la stessa quota di mercato. I primi quattro “clienti”, sebbene in ordine diverso, sono sempre Francia, Germania (che conferma l’andamento negativo), Svizzera (caratterizzata da un +8,9%) e Stati Uniti. La settimana della moda è un’importante vetrina internazionale per le aziende che presentano le loro collezioni in passerella o in fiera. L’edizione di Micam che si è appena conclusa, per esempio, ha confermato un aumento dei buyer esteri: +2% sull’edizione di febbraio, contro un calo degli italiani. La manifestazione ha registrato una forte presenza proveniente dalla Cina e da Hong Kong e un +10% dalla Svizzera. Negative, invece, le performance di Russia (-12,85%) e Ucraina (-8,68%). La filiera della moda nel 2020 perderà tra il 20 e il 25% del fatturato, nel 2021, solo nella seconda ipotesi, riuscirà a recuperare il calo subito. L’indagine di UniCredit, basata su dati Cerved, viene presentato nell’ambito di una roadmap virtuale sul Made in Italy organizzata dalla banca: “The Italian Way”. Lo studio sulla filiera della Moda italiana, nell’era post Covid , ipotizza due scenari: nel primo, “Soft”, il fatturato a fine 2020 perderà circa 1/5 del suo valore rispetto al 2019, con una ripresa prevista a partire dal 2021 che potrebbe colmare il calo previsto per l’anno in corso. Mentre secondo lo scenario più pessimista (“Hard”), il calo potrebbe essere maggiore e superare 1/4 del suo valore pre-Covid, con un rimbalzo significativo ipotizzato nel 2021. Si sottolinea che l’impatto negativo del Covid sarà sostanzialmente omogeneo a quello medio nazionale per tutte le imprese delle diverse regioni italiane e anche in quelle in cui hanno sede il maggior numero di imprese del settore moda in Italia: Toscana (22%), seguita da Lombardia (16%), Veneto (11%) e Campania (10%) «Il settore della moda è arrivato in salute alla fase pre Covid spiega Roberta Antinarella, Industry Expert UniCredit con fatturato in crescita, soprattutto grazie alle esportazioni, pari a oltre il 70% della produzione. Da marzo, il sistema viene colpito dal fermo produttivo e da altri effetti indiretti. La crisi agisce sulla offerta prima e poi anche sulla domanda poichè si registra una forte contrazione dei consumi». Una speranza viene dalla Cina: «Si registra aggiunge Antinarella una “spesa di vendetta sul virus”: i consumatori spendono più del normale e soprattutto in beni non necessari. Unicredit indica le strade per ripartire.

L’e-commerce in primis, che durante il lockdown è cresciuto del 60%. Il negozio diventa quindi uno snodo: esposizione delle collezioni, luogo in cui ritirare e fare ordini. La qualità del prodotto secondo lo studio di Unicredit resterà il pilastro che consentirà alle imprese di essere più forti di prima. Oggi si lavora sugli ordini per la stagione autunno-inverno ed estiva. Ma per il futuro vi è molta preoccupazione. Il negozio di New York è ancora chiuso, come Miami. A Milano si è ripartiti il 18 maggio. A Mosca la settimana scorsa. Solo Dubai non ha mai chiuso. Ma oggi si guarda il business con un’ottica diversa: si pone più attenzione sull’ e-commerce, avendo registrato negli ultimi mesi una grande domanda.

 

di Emanuela Di Rauso