Intervista allo scrittore Donato Zoppo

Intervista allo scrittore Donato Zoppo

27 Maggio 2020 0 Di Arianna Bruno

Donato Zoppo è un giornalista, scrittore e conduttore radiofonico. Autore di numerosi libri, dal 2001 al 2007 ha scritto per Le Vie della Musica, inserto del Sannio Quotidiano. Nel 2007 è approdato al mensile Jam e nel 2012 ad Audio Review.

Amante della buona musica, cura il blog «Chi va con lo Zoppo…» e conduce il radio-show Rock City Nights, in onda sulle frequenze di Radio Città BN.

La sua più recente fatica letteraria è un’opera dedicata a «Con il nastro rosa», ultima canzone di Lucio Battisti e Mogol, edita dalla casa editrice GMPress: il libro è un viaggio alla scoperta di una canzone «che chiude il sipario su un decennio e su un sogno».

Durante il lockdown si è parlato tanto del ruolo della musica nella vita di ognuno. Ora, però, è proprio il mondo della musica a dover pagare il prezzo più caro delle varie misure disposte per evitare il contagio (vedi annullamento dei tour). Siamo ad un passaggio epocale? 
 
Credo proprio di sì. Intanto è stato epocale il lockdown in sè, che ha fermato tutto il comparto live e subito dopo ha scatenato un boom di eventi social che ci hanno dato almeno un paio di elementi su cui riflettere: 1. Il pubblico ha sempre voglia di eventi, di spettacoli, di confronti anche culturali, insomma tutto il mondo dei social ha colmato un notevole vuoto, segno di vitalità del mondo dell’industria culturale (pensa anche a tante case editrici che via Instagram hanno offerto numerosi titoli del catalogo free, oppure al Comune di Napoli che ha offerto la piattaforma Facebook per far esibire tanti artisti, o anche il recente approdo di Poietika sui social con un programma che andrà avanti fino al 30 giugno); 2. Facendo una scrematura di tutto quello che è stato proposto, operando dunque con un notevole discernimento selettivo togliendo le dirette da casa col telefono traballante, gli spaccati di cessi o librerie disordinate dell’artista di turno che ha strimpellato la chitarra o letto col plaid sulle ginocchia il proprio romanzo, è emersa una qualità media nei contenuti e nelle proposte piuttosto rilevante. Penso a Conversazioni sul Futuro diventata Sette meno dieci, con una sequenza di contributi di profilo davvero alto, e mi permetto di segnalare anche il mio piccolo ciclo TranSonanze via Instagram, che con leggerezza ha approfondito il segmento della saggistica musicale italiana con la partecipazioni di colossi della nostra editoria come Hoepli e Saggiatore, di editori indipendenti della musica come Tsunami e Crac, di realtà di spicco negli studi filosofici e scientifici come Mimesis. Insomma il lockdown non è riuscito a fermare le proposte del nostro mondo culturale. Un passaggio epocale anche questo.
Altrettanto epocale sarà il ritorno ai live all’indomani del 15 giugno, anche se dopo aver letto la nuova regolamentazione ci sono molte perplessità: la sostenibilità economica e il break even point, la voglia/non voglia del pubblico, i dubbi di fattibilità da parte degli enti e dei soggetti organizzatori, insomma ci sono zone d’ombra che spero siano subito illuminate.
A proposito di passaggi epocali, il tuo libro prende in esame uno dei momenti “cult” della musica italiana, vale a dire la fine della collaborazione con Mogol. “Con il Nastro Rosa” e l’album che la contiene, “Una giornata uggiosa”, rappresentano l’epitaffio di una delle coppie artistiche più feconde dei Settanta. Ma come si consuma questa rottura clamorosa? E perché proprio in quel 1979-80?
 
Battisti e Mogol si erano conosciuti nel 1965, avevano debuttato insieme subito dopo, nel 1980 quando uscì “Una giornata uggiosa” avevano alle spalle 15 anni di lavoro durissimo, fitto, inarrestabile. Una sorta di fabbrica artigianale di canzoni premiate da un successo di pubblico straordinario. Era inevitabile la stanchezza, ancora di più per Battisti, che ha sempre sfidato se stesso, ha sempre corso verso nuovi orizzonti, e alla fine di un decennio in cui aveva esplorato nella sua totalità le opportunità offerte dalla canzone, sentiva la necessità di reinventarsi e di rinnovare la sua scrittura. Credo percepisse Mogol come una zavorra: i due avevano differenze anagrafiche, generazionali, sociali, geografiche e caratteriali, benchè fossero diventati dei grandi amici e avessero trovato un’alchimia unica nel suo genere, ma alla fine del decennio il Mogol quarantaquattrenne era soddisfatto, pacificato, casalingo direi. Battisti volava altrove, ciò che farà negli anni ’80 e ’90 lo dimostrerà in pieno. Ci sono poi le note controversie sulla richiesta da parte del Rapetti di una ripartizione paritaria dei diritti, che sicuramente hanno contato – e anche tanto, credo – ma nella mia lettura hanno prevalso le divergenze artistiche.
Girano in rete molte interpretazioni di “Con il nastro rosa”. Qual è quella che più si avvicina al vero?
La più semplice, leggibile e letterale: quella legata al testo e alla vita di Mogol. In maniera molto lineare – per quanto straordinariamente aderente alla musica, con una ricchezza di immagini e squarci dalla vita quotidiana – Rapetti raccontava il timore per un amore apparso all’improvviso dopo la fine di una relazione importante, e quel dubbio, quella perplessità di un uomo maturo, non viene accolto con la fuga o con la spavalderia, ma serenamente, rimettendo alla quotidianità e alla vita. “Lo scopriremo solo vivendo” significa proprio questo: sarà nell’attimo, nell’istante, nell’attimo della vita di ogni giorno, che sarà possibile scoprire il valore, il significato e il peso di questa relazione. Non è un caso che sia il verso di una canzone più citato nel linguaggio quotidiano italiano.
“Una giornata uggiosa” è forse il disco più pop della carriera di Battisti e sicuramente quello che sicuramente rispetta i canoni della classica forma-canzone. Scelta stilistica o casualità legata al momento creativo di Battisti? 
 
E’ un disco pop-rock dal respiro internazionale, nato e registrato a Londra, con l’apporto determinante di Geoff Westley, al quale Battisti aveva affidato generosamente la lavorazione dell’album, riservandosi un controllo remoto soltanto su fattori prettamente emozionali. Il momento creativo non era affatto fiacco ma credo che Battisti, sicuro della separazione da Mogol e della imminenza di un nuovo percorso d’autore, abbia volutamente delegato Westley nell’arrangiamento, sulla base di un materiale piuttosto scarno che, in assenza di direttive forti, l’inglese non ha fatto altro che riempire di musica. Westley mi ha più volte detto che è particolarmente orgoglioso della seconda facciata del disco. Un lato B eccezionale, davvero.
Vale la pena raccontare la storia della copertina, che rappresenta, volendo essere ironici, un “falso d’autore”  particolarmente riuscito.  
 
La Numero Uno aveva incaricato dell’artwork il grande Mario Convertino, il quale a sua volta aveva incaricato della foto Ilvio Gallo, ottimo fotografo milanese che sperava di poter finalmente ritrarre Battisti. Lucio era fortemente contrario ad apparire, l’idea di svolta fu quella di fotografare una via di Milano in una mattinata piovosa e grigia allo scopo di rafforzare il clima del titolo. Ilvio Gallo si appostò su un cavalcavia per settimane e settimane ma… non pioveva mai! Fu così, messo alle strette, che escogitò uno stratagemma: grazie a una cisterna di acqua dei pompieri la via fu inondata e lui scattò. Il clima uggioso, nonostante la siccità del periodo, emerse tutto nel grigiore della cover, con la Wolksvagen che scendeva e l’uomo con l’ombrello che camminava.
Che Italia racconta “Una giornata uggiosa”? Leggendone i testi potremmo dire che trattasi del primo disco di pop italiano di quella che i sociologi hanno definito “l’epoca del riflusso”? 
Nel 1980 il riflusso credo sia stato già ampiamente superato, Mogol e Battisti lo avevano già cantato nel 1976 con canzoni come “Dove arriva quel cespuglio” o “Io ti venderei”. Indubbiamente quell’ultimo disco insieme non fece altro che certificare in maniera solenne e imperativa un generalizzato ripiegamento nella sfera privata, che avrebbe caratterizzato con interezza gli anni ’80. Le canzoni mogolbattistiane restano dei formidabili documenti storici: sono persuaso da sempre che leggerle nella giusta ottica fornisce un eccellente spaccato dell’Italia di un tempo.