La lenta ripresa delle Università: gli effetti della crisi da Covid-19

La lenta ripresa delle Università: gli effetti della crisi da Covid-19

7 Ottobre 2020 0 Di Arianna Bruno

La ripresa delle attività didattiche nelle università italiane ha rischiato di essere complessa. Il Covid-19 ha avuto un impatto non solo sulle modalità di svolgimento di lezioni ed esami, ma anche sulla possibilità d’accesso agli studi. Secondo un report curato da Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno), il numero di nuovi iscritti potrebbe diminuire di 10mila unità su scala nazionale. Più della metà dei casi (6300) è concentrato al Sud che, rispetto al centro-nord, ha subito in maniera peggiore gli effetti economici della crisi scatenata dalla pandemia di coronavirus. Sono già calate drasticamente anche le richieste d’affitti nei principali centri universitari: un segnale che indica che, per molti studenti, le spese universitarie non sono più sostenibili.

I dati Svimez

Lo studio, elaborato dal direttore Luca Bianchi e da Gaetano Vecchione dell’Università Federico II di Napoli, si basa sui dati raccolti durante la crisi del 2008. È  stato notato che un indebolimento dei redditi familiari portava a un’interruzione degli studi dopo la fine della scuola superiore. Ad esempio, tra il 2008 e il 2013 il tasso di passaggio scuola-università è crollato del 8,3% al Sud e del 1,6% al Nord. In cinque anni, le matricole nelle regioni meridionali si sono ridotte di oltre 20mila unità. La stessa cosa, secondo le previsioni di Svimez, potrebbe accadere a partire dal prossimo anno accademico: ci potrebbe essere una riduzione del tasso di proseguimento di 3,6 punti nel Mezzogiorno, su un totale di 197mila studenti che hanno sostenuto la maturità, e di 1,5 nel Centro-Nord su 292mila diplomati. Per l’associazione, però, si tratta di un fenomeno che potrebbe essere contenuto grazie ad alcuni provvedimenti: estensione dei contributi per le tasse universitarie, deciso dal ministero dell’Istruzione, da 13 a 20mila euro; introduzione di borse di studio, vincolate dal raggiungimento di alcuni obiettivi in riferimento al proprio piano di studi, che coprano l’intera retta per l’anno 2020; agevolazioni per gli studenti dal punto di vista dei trasporti e degli alloggi.

Il calo degli affitti

Sono proprio gli affitti uno dei nodi cruciali che sta spingendo molti studenti ad abbandonare le città universitarie o gli studi. Gli affitti hanno registrato un calo del 40-50% e in alcuni mesi (come ad aprile), è arrivato anche al 70%. Molti studenti, infatti, vista la possibilità di svolgere lezioni in remoto stanno decidendo di non investire più soldi in un alloggio e di non allontanarsi più da casa. Altri, invece, non possono permettersi canoni di locazione ancora troppo alti che, sommati alle altre spese, costituiscono una spesa non più sostenibile per alcune famiglie Fondi, tanti fondi per l’Università italiana che deve ripartire e riaprire dopo la serrata imposta dal Coronavirus.

Le misure del Governo a sostegno delle Università

Il decreto Rilancio, convertito in legge lo scorso 20 luglio, racchiude un pacchetto di aiuti economici agli atenei: 173 milioni, di cui 8 destinati ad Accademie e Conservatori, che serviranno ad abbassare le tasse universitarie e a rimpinguare le borse di studio, e 112 milioni, di cui 50 già stanziati nel decreto Cura Italia, che andranno al sostegno economico di università, Afam Alta formazione artistica, musicale e coreutica ed enti di ricerca. Per il settore della formazione e della ricerca che, negli ultimi anni, ha subito più tagli che investimenti, c’è però una clausola di salvaguardia: a novembre 2020 il ministero effettuerà un monitoraggio delle spese effettuate con possibilità di riallocazione dei fondi nel caso in cui un ateneo non rispetti le linee guida dei provvedimenti.

Voluti fortemente dal ministro Gaetano Manfredi, le misure seguono due direzioni: la prima, quella con più budget, riguarda esclusivamente la limatura dei costi universitari per gli studenti, la seconda i 112 milioni, dovrà essere impiegata per i servizi agli studenti, per mettere in sicurezza le sedi, ridurre il digital divide e investire negli atenei. Le singole università come stanno pensando di spendere, concretamente, queste risorse? L’urgenza appare quella di arginare un’emorragia di matricole: la pandemia ha stravolto i piani di vita di molti ragazzi, ricalibrando le priorità e portando incertezza nella progettazione del futuro.

Le misure delle Università

In un lavoro di ricognizione del Sole 24 Ore, sono raccolte le principali misure già deliberate delle università per provare ad accaparrarsi più studenti possibile per l’anno accademico 2020/2021. In questa competizione per le matricole, sono tre le macrocategorie di interventi scelti dagli atenei. Riduzione tasse e aumento delle borse di studio. Abbattimento del digital divide. Fondi di sostegno generali, che vanno dai sussidi per gli affitti a sconti per il trasporto pubblico. Per una volta, sembra che non ci sia una predominanza nei servizi offerti agli studenti dagli enti del Nord rispetto a quelli del Sud. Piuttosto, la disponibilità di finanziamenti in mano agli atenei pubblici è più cospicua rispetto alle istituzioni private. La leva contributiva appare la misura privilegiata dai rettori: in molti hanno portato la soglia della no tax area ai 20mila euro di Isee. Le università di Cagliari, Firenze, Parma, Pavia, Messina, Palermo, Pisa, il Politecnico di Torino, La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Udine, Verona hanno addirittura alzato la soglia a cifre superiori. Poi ci sono gli sconti basati sul merito: per le matricole vale il voto di maturità alla Liuc Carlo Cattaneo si parte dal 94, per i ragazzi già immatricolati, a Verona e a Parma, ad esempio, si considera il tetto minimo di 40 cfu annui per ricevere lo sconto. Nella categoria di fondi generali, almeno due università hanno deciso di implementare un programma di prestiti d’onore, ovvero un finanziamento agevolato che permette di ricevere un sostegno economico per portare avanti gli studi. L’università di Teramo permetterà la restituzione in ben 30 anni dal momento della sottoscrizione, la Luiss Guido Carli di Roma ha optato per una rateizzazione del prestito in 12 mesi. Con i soldi strappati nel decreto rilancio (1,4 miliardi di euro di cui quasi 300 milioni per il diritto allo studio) e le misure introdotte dai singoli atenei per prevenire l’emorragia di studenti (allargamento della platea degli studenti che non pagano le tasse universitarie o le pagano in forma ridotta), il sistema per il momento regge. Semmai quella che si sta disegnando è una nuova geografia delle iscrizioni: meno studenti in fuga dal Sud, più stranieri al Nord, che finora attraeva talenti da tutta Italia ma molti anche ne esportava all’estero, soprattutto in Inghilterra: mentre quest’anno fra Covid e Brexit gli eccellenti atenei lombardi, veneti e piemontesi sono tornati ad attrarre anche chi era pronto a mettere il passaporto in valigia.

Il dato sulle iscrizioni

«Abbiamo segnali di una forte richiesta da parte dei giovani», ha detto martedì Manfredi a Radio24. «Le immatricolazioni tengono in tutte le regioni d’Italia e al Sud in particolare si registra un aumento fra il 5-10 per cento». Un’inversione di tendenza che il ministro, già rettore della Federico II di Napoli, non può che accogliere con soddisfazione. «Alcuni giovani che prima cambiavano regione adesso tendono a restare in quella di appartenenza», ha spiegato. E in effetti i dati parziali che arrivano dalle Università del Sud sono particolarmente incoraggianti. A Palermo hanno già 3.200 matricole contro le 2.900 dell’anno scorso a questa data. Le iscrizioni totali fanno segnare addirittura un più 20 per cento. Gli iscritti ai test per le facoltà ad accesso programmato sono stati più di 13 mila, l’anno scorso le aspiranti matricole erano soltanto 10 mila. A Bari, dove le immatricolazioni si chiuderanno il 30 novembre, i dati son in linea con il 2019: 3.947 iscritti al momento contro i .3958 alla stessa data. All’università di Catania, quest’anno c’è stato un boom di domande di iscrizione: 12.287 contro le neanche diecimila dell’anno scorso. Certo, bisognerà vedere quanti le porteranno effettivamente a termine: le immatricolazioni si sono aperte solo da qualche giorno, ma i primi dati sui corsi a numero chiuso a livello locale (non Medicina, ma tutte le altre facoltà con posti contingentati, che qui sono la stragrande maggioranza) sono incoraggianti: già 3.000 su un totale di 5.900 posti a disposizione. A fare la differenza potrebbe essere stata la decisione di sospendere solo per quest’anno i test d’accesso, sostituendoli con il voto di Maturità (che quest’anno ha registrato un boom di 100 e 100 e lode, soprattutto al Sud). Ma resta il fatto che in ateneo stanno pensando di ampliare le disponibilità per la laurea triennale fino a 7.000 posti che è la stessa cifra raggiunta l’anno scorso includendo anche la laurea specialistica.

 

di Emanuela di Rauso